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L’arte, e la scienza, della fuga

L’abilità delle mosche di sfuggire ai tentativi di schiacciarle può sembrare quasi soprannaturale. Ma il segreto è nell’ottima coordinazione tra percezione visiva e reazione motoria.

Una drosofila evita l'acchiappamosche

Fai la posta, trattieni il respiro, prendi la mira – la reticella metallica sulla sua asticella flessibile o la ciabatta sospese a mezz’aria – e fai partire il colpo. Ma prima che la tua arma schiocchi contro il muro, la mosca già se la fila ronzando oltre il tuo orecchio.

Michael Dickinson, al laboratorio di bioingegneria al California Institute of Technology, dirige un eterogeneo gruppo di ricercatori: neuroscienziati, entomologi, fisici che si occupano di dinamica dei fluidi, studiosi di controllo dei sistemi, meccanica dei materiali, robotica. Per la maggior parte di noi il volo delle mosche è un fastidio a cui abbiamo fatto l’abitudine. Per loro, è un oggetto di ricerca che potrebbe portare a una migliore comprensione del comportamento dei sistemi complessi e, forse, alla costruzione di una nuova generazione di piccoli robot volanti: il laboratorio riceve fondi anche dall’aeronautica militare americana.

“Visti i miei interessi di ricerca, capita spesso che mi domandino perché è così difficile acciaccare una mosca. Finalmente, ora, ho una risposta”, dice Dickinson a proposito dello studio che ha firmato insieme alla dottoranda Gwyneth Card, e che sarà pubblicato sul numero di Current Biology  del 9 settembre.

I ricercatori hanno ripreso i movimenti di alcune femmine di Drosophila melanogaster, moscerine della frutta, con videocamere capaci di catturare 5400 fotogrammi al secondo (tipicamente, una cinepresa registra 24 fotogrammi al secondo). Hanno sistemato le moscerine su una piccola piattaforma di plastica. Lì venivano bersagliate con un disco, nero e di 7 cm di raggio, che scattava accelerando verso la loro posizione. Per non sacrificare le loro vite alla scienza, dopo meno di mezzo secondo la corsa del disco era interrotta da un blocco in gommapiuma: ma le moscerine non lo sapevano.

Nei video si può vedere tutta la complessità delle loro strategie di fuga. I ricercatori stimano che, entro 100 ms dal momento in cui vede l’acchiappamosche scagliato contro di lei, una moscerina riesca a determinare l’esatta posizione del pericolo e sistemare le zampette in modo da poter prendere il volo più rapidamente possibile in direzione opposta. Se il colpo, per esempio, arriva frontalmente, la moscerina muove in avanti le zampe mediane e si china su quelle posteriori, per piroettare all’indietro. Se invece si tenta di colpirla alle spalle – le mosche vedono quasi a 360 gradi, non la si coglie impreparata – sposta un po’ indietro le zampe mediane e balza in avanti.

“Questa trasformazione da una percezione visiva al controllo motorio è piuttosto raffinata”, commenta Dickinson. Non è solo un riflesso “preprogrammato”, in cui uno stimolo visivo in una certa direzione determina una serie fissa di movimenti delle zampe. La reazione delle moscerine cambia a seconda di quello che stanno facendo quando vedono arrivare il colpo, e sanno quali sono le manovre giuste per portarsi in posizione di decollo sia che stiano mangiando, che siano impegnate in un corteggiamento, o che si stiano pulendo.

Alcuni predatori, però, hanno imparato a ritorcere contro le mosche le loro stesse tecniche di fuga. Un uccello della famiglia dei Tordi, il codirosso americano, spaventa le mosche, muovendo le piume, per farle alzare in volo: appena si staccano da terra se le mangia. Secondo Dickinson, dovremmo imparare a fare qualcosa di simile: “Il metodo migliore per uccidere una mosca”, conclude, “è mirare non alla posizione di partenza ma un po’ più avanti, per prenderla dove balzerà appena vede l’acchiappamosche”.


La ricerca è pubblicata sulla rivista Current Biology (Gwyneth Card e Michael H. Dickinson, Visually Mediated Motor Planning in the Escape Response of Drosophila, Current Biology 18, 1–8, 9 settembre 2008 )



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