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Censimento dei precari della ricerca

Su iniziativa dell’Istituto di Scienze e Tecnologie cognitive del CNR, una ricerca sul mondo del precariato nell’università e nella ricerca italiana

Una lezione in piazza Unità a Trieste (ottobre 2008)

I dati sulla presunta inefficienza del sistema della ricerca italiano e sul numero di precari stanno facendo il giro di tutti i media. In Italia la ricerca, anche internazionale e di alto livello, è in buona parte gestita e sostenuta da ricercatori precari. La precarietà può assumere svariate forme, da quelle più o meno dignitose (purché limitate nel tempo) a quelle degradanti sia per le condizioni economiche che per il perdurarsi (anche di molti anni) della condizione stessa di precarietà.

Ecco alcune possibili precarietà.

Ci sono contratti a tempo determinato, che sono del tutto equivalenti a un contratto regolare se non per il fatto che hanno una durata stabilita in un numero massimo di anni. Naturalmente si pone il problema della stabilizzazione quando il tetto massimo viene raggiunto.

Ci sono poi gli assegni di ricerca che possono essere attivati dalle università o dagli enti pubblici di ricerca come l’ENEA e il CNR. Hanno lo scopo di favorire la formazione di giovani studiosi e lo sviluppo di professionalità specifiche. Sono contratti occasionali e devono essere vincolati alla realizzazione di un progetto specifico. Normalmente la durata minima degli assegni è di un anno fino a un limite massimo di quattro, ma rinnovabile fino a otto anni. In questo modo si può facilmente arrivare a quarant’anni con un assegno di ricerca, il cui compenso corrisponde a 13.000-15.000 euro lordi all’anno. (fonte Link up / Assegni di ricerca).

Infine ci sono i cosiddetti co.co.co., cioè contratti di collaborazione coordinata e continuativa o contratti a progetto. Non prevedono un rapporto di lavoro subordinato né un orario preciso. Hanno una durata massima di due anni. Il compenso non è stabilito a priori ma deve essere concordato tra le parti e vengono sospesi in caso di maternità o di malattia. Maggiori informazioni sul sito del Sole24ore oppure su Vita di donna.

Esistono poi altre situazioni di lavoro atipico, ancora più occasionali e saltuarie. Maggiori informazioni sul sito del Parlamento nella sezione Leggi e Decreti.

Rispetto alla situazione sulla precarietà dei ricercatori presentata dai media, basata più che altro sui dati forniti dal Ministero, la realtà è molto peggiore. Infatti, nei calcoli del Ministero si tengono conto solo di quei ricercatori che hanno un contratto a tempo determinato. Gli assegni di ricerca, i co.co.co. e gli altri contratti atipici non vengono considerati, pur rappresentando la parte peggiore della precarietà e raggiungendo numeri elevatissimi.

A causa della dell'Art. 49 della Legge 133/08, tutti i ricercatori precari rischiano il licenziamento e dovranno cercare lavoro altrove. Di conseguenza, si aggrava la fuga dei cervelli, sprecando ingenti investimenti in alta formazione già sostenuti da parte dello Stato italiano e vanificando la capacità dei giovani ricercatori di attrarre finanziamenti dall'esterno.

Per avere un ritratto più chiaro e veritiero, il Laboratory of Autonomous Robotics and Artificial Life dell’Istituto di Scienze e Tecnologie cognitive del CNR (http://laral.istc.cnr.it/) ha lanciato un censimento dei precari negli enti pubblici di ricerca "dal basso" per far emergere i veri dati riguardanti il precariato della ricerca in Italia, sia sui numeri di precari che lavorano nel sistema italiano sia sulla loro produttività scientifica. I dati, per ora ancora molto parziali, sono a disposizione qui e possono via via venire aggiornati dai ricercatori stessi previa registrazione.

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