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Stefano Fantoni

Stefano Fantoni

La parola agli scienziati

Stefano Fantoni è attualmente direttore della SISSA, da anni è impegnato in ricerche nel settore della fisica della materia condensata e nell'ambito della comunicazione scientifica. Lo abbiamo intervistato per conoscere i suoi studi, per capire quale sia l'attuale formazione degli scienziati nell'ambito della comunicazione scientifica e quali siano le prospettive e le principali linee guida per la SISSA nei prossimi anni.

21 gennaio 2005
Francesco Scarpa

Qual è la sua attività di ricerca principale? Quali sono stati i lavori più importanti a cui si è dedicato?

Appena laureato e quindi fin da subito mi sono dedicato a lavori che riguardavano i cosiddetti "sistemi a multicorpi", la cui caratteristica inoltre era quella di una forte interazione tra i loro elementi costitutivi. Erano in sostanza dei sistemi termodinamici come l'elio liquido, come la materia nucleare o come la materia che c'è dentro le stelle. Quindi composti fatti di moltissime particelle, dell'ordine del numero di Avogadro.

In che senso sono sistemi che interagiscono fortemente: nel senso delle interazioni forti?

No, non si tratta solo di sistemi i cui elementi interagiscono secondo l'interazione forte, come quando si trattano per esempio i nucleoni e la materia nucleare. Per sistemi a multicorpi fortemente interagenti intendo dire che se per esempio abbiamo due particelle, queste non possono trovarsi troppo vicino e in generale tutte insieme alle altre, come se fossero delle sfere dure. Questo fa si che una trattazione di tipo "campo medio" sia molto critica, perché le equazioni di tale modello considerano invece gli agenti come indipendenti gli uni dagli altri, quindi non si preoccupa di quelle che sono le interrelazioni in maniera esplicita. Queste interrelazioni sono considerate solo in termini perturbativi, come si dice in fisica, cioè assumendo che questi effetti siano più piccoli e che quindi si possano trattare in maniera approssimata.
Per molti sistemi però fare ciò non è possibile: bisogna fin dall'inizio considerare questi effetti e queste correlazioni come elementi fondamentali. Una tale trattazione perciò cade in tutt'altra metodologia matematica, come quella delle teorie di campo; per quanto neanche le teorie di campo in questi casi vanno molto bene. In effetti, ci vogliono delle teorie di campo molto sofisticate per tenere conto di tutta una serie di contributi.
Questa branca di ricerca mi ha interessato fin dall'inizio e in un primo tempo ho affrontato alcuni problemi con tecniche di meccanica statistica, spostandomi dalla meccanica statistica classica a quella quantistica e soprattutto, da trattazioni che già esistevano per sistemi bosonici allo sviluppo di nuovi modelli per sistemi fermionici, che ancora non esistevano. Questo è stato il mio maggior contributo alla fisica. Ho derivato in questo contesto una teoria con un insieme di equazioni che si chiamano equazioni di Fermi Hypernetted Chain (catene iperconnesse fermioniche), che sono state usate per una ventina di anni per studiare una serie di sistemi fisici, come l'elio liquido, il plasma di elettroni o anche sistemi descritti dal modello di Hubbard.

In realtà anche alcune di queste metodologie usate, con gli anni, hanno cominciato a mostrare dei limiti, nel senso che quelli che erano i dati sperimentali da prendere in considerazione, sia per quanto riguardava le proprietà dei sistemi superfluidi come l'elio o come i dati delle pulsar o ancora i risultati che venivano fuori dalla fisica degli ioni pesanti o ad alta energia, erano tali che bisognava andare oltre queste approssimazioni e quindi mi sono dedicato a metodologie che avessero come base le simulazioni Montecarlo. Ho cominciato allora a lavorare su metodi quantistici Montecarlo per fermioni. Questi sono stati lavori essenzialmente di tipo metodologico.
Dal punto di vista delle applicazioni invece mi sono occupato di sistemi molto vari come l'elio liquido, di sistemi nucleari, di materia nucleare che sta dentro le stelle o di sistemi elettronici fortemente interagenti e quindi il campo delle applicazioni che ho preso in esame è stato molteplice. Ho spaziato dalla fisica dello stato solido alla fisica nucleare e poi all'astrofisica. Questa interdisciplinarietà mi ha sempre interessato moltissimo: cercare di comprendere in diversi campi cosa succede quando i sistemi sono fortemente interagenti, che poi il più delle volte è la realtà delle cose.

Tra le altre cose lei per diversi anni è stato il direttore di un master in comunicazione della scienza proprio qui alla SISSA. Molto spesso si sostiene che gli scienziati hanno una certa difficoltà nel comunicare il significato e l'importanza delle loro ricerche. Come dovrebbe cambiare la loro formazione per migliorare in tal senso? Qual è l'attuale situazione della comunicazione della scienza nelle diverse realtà accademiche?

La situazione attuale certamente non è ottimale, non è come vorremmo o come dovrebbe essere, per quello che è l'importanza della comunicazione scientifica sia per la società che per la scienza. Tuttavia è molto migliorata rispetto ad alcuni anni fa, c'è molta più attenzione degli scienziati verso la comunicazione scientifica, molto più di quanto ce ne fosse un po' di tempo fa.
Chiaramente ci sono delle deficienze, in quanto accanto a una ritrovata attenzione spesso però non ci sono le giuste competenze per questa attività. Oltre a una certa conoscenza scientifica, questo è evidente, comunicare implica anche il saper comunicare, che va al di là della canonica pratica scientifica. Solo pochi scienziati lo sanno fare, ma soprattutto per un dono naturale e non perché lo hanno imparato: ciò può costituire un problema.
La domanda è: possiamo fare qualcosa in quella direzione? Forse sí, forse quello che dovrebbe avvenire in futuro è che questa attenzione maggiore verso gli aspetti comunicativi dovrebbe tradursi anche in una formazione specifica degli scienziati verso la comunicazione della scienza. Non sarebbe poi cosí drammatico se accanto a materie più tecniche ci fossero per esempio materie che evidenzino la storia delle varie discipline o anche il valore degli aspetti comunicativi. Ciò mi sembra fattibile. Per quanto forse alcune di queste ipotesi sono difficili da realizzare a breve scadenza perché, affinché siano possibili, dovrebbe esistere anche un contenitore accademico per la comunicazione della scienza, ovvero un contenitore riconosciuto in cui vi sia la possibilità di sviluppare delle carriere accademiche cosí come ci sono per gli altri filoni di ricerca: da ricercatore ad associato e poi ordinario. Ma ciò purtroppo non esiste oggi. Esistono invece delle figure come lo storico della scienza o il filosofo della scienza che potrebbero emergere in questo contenitore. Ma un simile scenario non si è ancora realizzato, se ciò avvenisse sarebbe un grande passo in avanti perché la comunicazione della scienza avrebbe cosí un diritto di esistenza all'interno del mondo accademico e io credo che rappresenterebbe un titolo per chi se ne occupa. C'è tutta una fase nuova che andrebbe sviluppata e di cui da poco si comincia a parlare.

Ma perché è importante la comunicazione della scienza?

È importante per la scienza stessa affrontare il tema della comunicazione. Gli scienziati dovrebbero essere in grado di divulgare alla gente i contenuti delle proprie ricerche e spiegare per quale motivo ha senso finanziare la scienza. Lo scienziato deve capire che opera in un contesto che è cambiato, in una società che è cresciuta dal punto di vista delle esigenze tecnologiche e che quindi fa delle domande molto più vicine alle risposte che potrebbe dare la scienza.

Certamente il fatto che il livello tecnologico è aumentato enormemente, con risvolti non sempre positivi ovviamente, deve implicare necessariamente che la società si avvicini alla scienza. Forse inizialmente si accosterà agli aspetti tecnologici, però di riflesso anche alla scienza in generale.

Indubbiamente ci vorrebbe anche una maggiore formazione che inizi nelle scuole, il tutto è collegato. In generale io sento una maggiore richiesta da parte della società su questioni scientifiche, ed è cresciuto anche il rispetto verso la scienza da parte degli uomini politici. Oggigiorno non penso che vi sia uomo politico, di qualunque partito esso sia, che non riconosca che la scienza e la ricerca scientifica di base o non, sia fondamentale per l'economia e per lo sviluppo di un paese. Naturalmente tra il dire e il fare ... ma in ogni caso mi sembra che siamo in un periodo di rinnovamento.

Quali saranno le linee guida future per la SISSA? Quali obiettivi si propone di perseguire? C'è qualcosa da cambiare?

Io non cambierei moltissimo perché la SISSA è già qualcosa di molto innovativo e unico in Italia. Qui vi sono persone brillanti. Penso che i pericoli maggiori sono quelli di disfare più che di fare. Intanto bisogna mantenere quello che si ha. Forse si deve cercare di sostenere quella che è la motivazione della SISSA, che è la motivazione di un istituto di ricerca molto avanzato che collega ricerca e formazione in maniera unica in Italia, e che collega diverse discipline. C'è una intersettorialità molto forte che costituisce una fucina per nuove idee. Quest'aspetto che già esiste va conservato e alimentato continuamente, perché spesso la tendenza di ciascuno di noi è quella di curare il proprio orticello, invece qui bisogna guardare anche oltre.
Ci sono ovviamente dei problemi immediati che devono essere risolti, come quello degli spazi, che non è da sottovalutare. Le nostre attività sono frammentate in diverse sedi e questo è contrario al nostro essere. Se vogliamo conservare questa interdisciplinarietà, deve essere possibile per esempio che il biologo possa incontrarsi e collaborare con il matematico o con il fisico, invece se siamo frazionati ciò si realizza con maggiori difficoltà.

La seconda linea importante è quella di migliorarci nella formazione: sono cambiati i programmi, esiste una laurea triennale, poi la specialistica, per cui bisogna entrare in questo nuovo ordinamento in qualche modo, non possiamo rimanere come eravamo dal momento che sono cambiate le condizioni al contorno.

C'è poi una terza missione che in qualche modo sta nascendo e che va seguita e rinforzata; essa va al di là delle attività accademiche della SISSA, non è né di ricerca fondamentale né di alta formazione, ma è costituita da prototipi di attività che vanno verso l'impresa, tipo "spin-off". In questo senso abbiamo un'attività editoriale molto affermata soprattutto nell'ambito della multimedialità. Vi è poi da più di dieci anni un affermato master professionale in comunicazione della scienza.
Già abbiamo uno spin-off molto importante che è quello della Line Genomics, una compagnia che porta avanti ricerche utili anche nello studio delle malattie neurodegenerative, come l'Alzheimer.
Quindi vogliamo rafforzare in questa direzione le nostre attività. Poi forse la cosa più rilevante che ci aspetta nelle scelte di base è quella che va nella direzione della neurobiologia, che ci vedrà primi attori nello studio di processi connessi alle malattie neurodegenerative; ricerche che hanno la loro origine negli studi della Line Genomics, ma che in futuro si allargheranno anche ad altre malattie come il Parkinson.

E la fisica? Che futuro ha?

La ricerca in fisica è sana: io ne prevedo un futuro roseo. Certo non è più di "moda" come alcuni anni fa, questo è vero. Infatti qui alla SISSA abbiamo sviluppato anche altri filoni di ricerca, soprattutto i rami della neurobiologia e delle scienze cognitive. Però nella scienza ci sono gli alti e i bassi: sarebbe un errore gravissimo abbandonare un'intera disciplina quando c'è un declino, anzi forse è il momento di essere ancora più saldi. Noi continuiamo a mantenere le nostre linee di ricerche che sono molto note, in cui siamo leader anche a livello mondiale, anche se la fisica non è più la sola disciplina trainante che interessa tutti. Faremo cose nuove ma senza dimenticarci le nostre origini.

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