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Adriana Valente

Adriana Valente

Le decisioni scientifiche dei cittadini

La partecipazione alle decisioni scientifiche da parte dei cittadini si manifesta in due direzioni: il coinvolgimento di chi impara, e la comprensione di come la scienza viene percepita, in particolare da parte dei più giovani. Adriana Valente, coordinatrice per il CNR di “Comunicazione della Scienza ed Educazione”, dell’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e di Politiche Sociali, ha curato il libro "La scienza dagli esperti ai giovani e ritorno” (Biblink, Roma 2006), e ci parla soprattutto di questo “ritorno”.

27 aprile 2007
Daniele Gouthier

A proposito del rapporto tra giovani e scienza, ci sono due questioni particolarmente interessanti: il cosiddetto "calo delle vocazioni scientifiche" e la costruzione di cittadini che dovranno sempre più confrontarsi con la scienza per prendere decisioni consapevoli. La vostra ricerca da che punto di vista si pone?


Il termine normalmente utilizzato per indicare l’allontanamento dei giovani dalla scienza, la crisi delle vocazioni scientifiche, è emblematico del problema sottostante: evoca una "chiamata divina" e in quanto tale esprime una distanza. Il sacro è ciò che occupa un posto a parte, ciò che è separato, ciò che non può mescolarsi al profano; il sacro è circondato da un’aura che “intimorisce e attrae, terrorizza e affascina”. La metafora della vocazione contribuisce ad alimentare l’immagine degli scienziati come di una cerchia di eletti, elevati quanto distanti, per far parte dei quali bisogna, quanto meno, esserci portati.


All’opposto, è ancora poco valorizzata l’accezione di scienza come qualcosa non di sacro, ma di profano, e cioè che sta innanzi al tempio, e dunque fuori di esso, alla mercé del pubblico. In questi anni abbiamo provato a sperimentare modelli partecipativi di comunicazione pubblica della scienza, che consentissero di vivere la scienza come qualcosa di meno distante dall’esperienza dei e delle giovani.


E come si fa?


Non è facile, perché siamo poco abituati a vivere la scienza in maniera partecipata, a prendere parte alla scienza e, soprattutto, a partem capere, a prendere parte della scienza. Non è facile anche perché occorre tenere distinti i possibili percorsi partecipativi da fenomeni di strumentalizzazione e di de-responsabilizzazione politica: alla fine, la responsabilità nel processo decisionale può essere solo in parte condivisa e deve essere ben chiaro chi dovrà prendere le opportune misure di politica scientifica.


Se la scienza è un fatto acquisito da trasferire, l’intervento della società è inutile, anzi è solo un fattore di disturbo. La partecipazione al dibattito scientifico della società e di parti importanti di essa presuppone la pluralità dei punti di vista della scienza, in particolare di quella scienza che, in contrapposizione a quella consolidata, viene definita “in azione”, “in divenire”, che coinvolge questioni etiche, economiche, sociali. Non a caso nei nostri progetti ci siamo occupati di temi quali ogm, campi elettromagnetici, esplorazione dello spazio, cambiamenti climatici. Su tali questioni si fronteggiano più approcci scientifici, a volte conflittuali, e interagiscono diversi aspetti culturali.


Come avete realizzato la vostra ricerca? In che contesto e in che quadro vi siete mossi?


In primo luogo abbiamo cercato di sperimentare un percorso in grado di riportare dentro la comunicazione pubblica della scienza la ricchezza e l’articolazione del dibattito scientifico.


Si è voluto in tal modo evitare che venisse trascurata la tensione tra diverse opinioni, a volte conflittuali, connaturate al pensiero scientifico oltre che alla sua evoluzione: la semplificazione va ricercata nel linguaggio e nelle modalità dell’interazione comunicativa, non nella rimozione delle componenti critiche, problematiche, interdisciplinari.


Un elemento centrale è stato il dibattito all’interno di gruppi di studenti. A tutti i gruppi è stato somministrato materiale didattico che presentasse una pluralità di fonti scientifiche. I gruppi, sotto la guida dei docenti hanno preso visione del materiale scientifico divulgativo e hanno avviato un’attività di studio e di discussione al proprio interno. Poi hanno incontrato gli scienziati esperti in una giornata di confronto e dibattito.


Ma come avete fatto a capire i loro punti di vista?


Prima e dopo il progetto sono stati distribuiti dei questionari per cogliere le riflessioni di studenti e studentesse sui temi scientifici posti, sui canali di informazione scientifica, sui principi socio-politici e sui valori scientifici coinvolti. È stato possibile in questo modo mettere a fuoco aspettative e attitudini verso la scienza, sollecitando studenti e studentesse a riflettere sulle vecchie e nuove questioni dell’universalità della conoscenza scientifica, sul ruolo del mercato, sul significato da dare al principio di precauzione e sulla velocità del progresso scientifico.


Nella relazione tra cittadini e scienza, è molto delicato il rapporto tra interesse e informazione. I giovani quanto sono interessati alla scienza? E quanto sono informati?


A differenza dall’indagine nazionale su giovani e scienza che il CNR ha condotto tre anni fa, nelle indagini realizzate nel progetto “Percezione e consapevolezza della scienza” abbiamo chiesto a studenti e studentesse di pronunciarsi sul loro interesse per diversi argomenti scientifici e non sul loro interesse per la scienza rispetto ad altre attività.


I temi maggiormente considerati sono stati sicurezza alimentare, scienza e tecnologia ed energia e ambiente, seguiti dalle questioni relative alla scienza e società. In misura minore sono stati indicati gli ogm e le cellule staminali. Riguardo all’interesse per i diversi temi scientifici, le differenze di genere non si possono considerare rilevanti, salvo che le ragazze si sono concentrate sulla sicurezza alimentare, mentre i ragazzi sui temi generali di scienza e tecnologia.


Per la quasi totalità degli studenti e delle studentesse è comunque fondamentale una corretta informazione. È emblematico il fatto che l’88,5% chieda l’etichettatura dei cibi contenenti ogm: tale percentuale include sia chi ha mostrato riserve e preoccupazioni verso l’uso e la coltivazione di ogm, sia chi ha evidenziato un atteggiamento di fiducia e ottimismo. Inoltre, per più del 60% va resa nota l’ubicazione delle coltivazioni sperimentali.


Se si passa dall’informazione alla conoscenza, il discorso non cambia: con riferimento alla ricerca spaziale, l’81,7% dei e delle giovani risponde che questa va finanziata per generare nuove conoscenze sull’origine e sul futuro della Terra, il 63,7% per cercare nuove forme di vita aliene e solo il 48,6% e il 22,7%, rispettivamente, per le ricadute in campo civile e militare. Si riconferma ancora una volta il ruolo centrale della scienza nella produzione di conoscenza.


Quanto possiamo considerare i giovani e le giovani come soggetti consapevoli del dibattito scientifico?


È difficile pensare che i giovani e le giovani possano essere - e avere consapevolezza di essere – parti significative del dibattito scientifico entro una modalità lineare di comunicazione della scienza, in cui partecipare vuol dire semplicemente essere destinatari di un messaggio. Una scienza in pillole, pronta all’uso, è qualcosa di già consumato, che non apre prospettive e non introduce alla complessità.


Per far parte del dibattito scientifico è necessario anche far proprie le modalità di costruzione del pensiero scientifico, e dunque il rigore del metodo, insieme alla modestia di una scienza che si fonda sulla propria confutabilità. Alla base, indispensabile, vi è un processo di acquisizione di conoscenze che è, a sua volta, davvero scientifico solo se non è completamente spogliato della ricchezza dei diversi punti di vista della scienza, normalmente confinata entro il dibattito tra esperti.


Come si sentono in questo ruolo ragazzi e ragazze?


Per i giovani e le giovani, far parte del dibattito scientifico vuol dire senz’altro “osare intervenire” ma dovrebbe voler dire anche svolgere una funzione propositiva, elaborare una risposta, sulla base delle conoscenze e degli stimoli ricevuti, che non sia una semplice “retroazione negativa”. Tale funzione propositiva costituisce l’aspetto più importante del “ritorno della scienza” dai giovani e dalle giovani verso gli esperti: non è facile realizzarla perché per gli uni è difficile rispondere, per gli altri ascoltare.


Le carriere e le opportunità scientifiche nascondono una drammatica questione di genere: maschi e femmine non hanno le stesse possibilità di realizzazione e anche semplicemente di lavoro. Dalla vostra ricerca, cosa emerge sui diversi atteggiamenti, se ce ne sono, tra maschi e femmine? Vedono diversamente la scienza?


Va smascherato il pregiudizio che le donne abbiano meno fiducia nella scienza, anche se, come in tutti i pregiudizi, c’è una base di verità: le ragazze sono più preoccupate dei ragazzi rispetto alle applicazioni relative a ogm e a campi elettromagnetici; hanno maggiore paura che la velocità del progresso scientifico possa essere pericolosa, in quanto lascia alla società meno tempo per valutare i possibili rischi o anche solo le implicazioni etiche e sociali eventualmente connesse allo sviluppo della scienza.


Tuttavia, grande fiducia è posta dalle ragazze ancora più che dai ragazzi nel ruolo che scienziati e scienziate dovrebbero esercitare nel processo decisionale relativo all’uso delle applicazioni della scienza e tecnologia, oltre che, naturalmente, nella scienza come fonte di conoscenze. Sembra dunque che maggiore cautela non implichi minore fiducia e, soprattutto, che non si debba confondere la fiducia con l’obbedienza.


Studenti e studentesse hanno mostrato di non voler sempre seguire i tempi e le condizioni dello sviluppo tecnologico a favore di una più attenta considerazione dei fattori di rischio; tuttavia, si sono espressi in percentuale diversa rispetto ai tre contesti dell’indagine (ogm, elettrosmog, spazio) mostrando di essere liberi da preconcetti. Ogni cautela, comunque, si scioglie nel momento in cui si passa a chiedere quale fonte sia più affidabile o chi dovrebbe decidere in materia di applicazioni di ricerca e sviluppo. La risposta è allora univoca: gli scienziati. Ma, subordinatamente agli scienziati, studenti e studentesse richiedono che sia dato un ruolo attivo anche a tutti i cittadini e alle associazioni. Fiducia sì, dunque, ma anche desiderio di dire la propria.


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Una questione di fiducia

Mario Riccio Mario Riccio

La conclusione del “caso Englaro” non chiude la questione spinosa della legge sul testamento biologico che in Italia ancora manca e anzi, se come è probabile, verrà votata in questi giorni una legge circoscritta unicamente all'alimentazione e all'idratazione artificiale dei pazienti incapaci di provvedere a se stessi, si rischia di cadere nel caos più assoluto. Come spiega Mario Riccio, medico “Che ha fatto la volontà di Piergiorgio Welby” come recita il titolo di un suo libro – e che è stato assolto l'anno scorso dall'accusa di “omicidio consenziente” - non saranno solo i cittadini a farne le conseguenze, ma anche i medici che si troveranno ad affrontare situazioni sempre più complicate e pazienti sempre meno fiduciosi.

Federica Sgorbissa

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Il caso Englaro - Beppino Englaro il padre di Eluana, una donna in coma per 17 anni, dopo varie battaglie legali ha ottenuto la sospensione delle cure che tenevano in vita la figlia scatenando così la forte opposizione da parte del Governo Italiano -, ha messo in evidenza la necessità di una legge per il testamento biologico in Italia. Il rischio, o la certezza visto il disegno di legge che dovrebbe essere approvato a breve, è che nella fretta si finisca per far passare un provvedimento parziale e che limiterà la libertà di scelta di ogni cittadino. Con Giovanni Boniolo, filosofo della scienza esperto di bioetica e coordinatore del dottorato in “Foundation of life sciences and their ethical consequences” abbiamo discusso della deriva italiana in fatto di autodeterminazione del paziente.

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Maria Curatolo Maria Curatolo

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