Le specie rare hanno una maggiore probabilità di sopravvivere se sono distribuite in molti luoghi diversi. Questi i recenti risultati di uno studio condotto in America settentrionale su fossili di piccoli mammiferi di oltre un milione di anni
L’estinzione di una specie non dipende soltanto dal numero di individui. Il fattore più importante per la sopravvivenza è l’ampiezza dell’aerea su cui si distribuisce e il tasso di variazione nel tempo.
È il risultato di uno studio sui mammiferi rari condotto in quattro siti dell’America settentrionale su un arco di tempo di circa un milione di anni. Elisabeth Hadley, dell’Università di Stanford in California, afferma che i mammiferi sono sopravvissuti molto più a lungo di quanto ci si sarebbe aspettati se il loro destino fosse dipeso soltanto dalle fluttuazioni casuali di un’unica popolazione.
È una buona notizia per i conservazionisti. “Non dobbiamo preoccuparci delle specie rare in ogni luogo, se queste vivono in molti posti” dice Michael Rosenzweig dell’Università dell’Arizona a Tucson. Naturalmente, l’estinzione resta una minaccia se la specie vive in un’area limitata e se la popolazione diminuisce.
Questi risultati hanno delle implicazioni sul modello neutrale delle estinzioni, che è stato sviluppato sugli ecosistemi delle isole. Il modello calcola le probabilità di estinzione basate sulla rarità della specie e sulle variazioni casuali della popolazione. “I meccanismi che agiscono sulle isole sono differenti da quelli che agiscono su scala dei continenti” dice Rosenzweig. Il fattore principale per la conservazione è la probabilità di estinzione su scala globale e continentale.
Per studiare questo fattore Hadley e colleghi hanno usato i reperti fossili. Hanno scelto quattro siti negli Stati Uniti di aree miste, formate da prateria e boschi di conifere, ricche di fossili di piccoli mammiferi. I siti sono distribuiti su 3500 chilometri e i fossili coprono circa un milione di anni, nei quali negli Stati Uniti si sono succeduti una serie di drastiche glaciazioni e scongelamenti. Eppure gli scienziati non hanno trovato nessuna testimonianza affidabile che siano avvenute delle estinzioni dei 16 gruppi di animali presenti in più siti, tra cui il pika (Ochotona) e il piccolo topo saltatore Zapus. “Queste specie sono sempre state rare, ma sono esistite in queste comunità per quasi un milione di anni,” afferma Hadley.
Risultati completamente diversi sono stati ottenuti con una simulazione al computer basata sul modello neutrale. Dopo 250 anni, il numero delle specie si era ridotto a meno della metà di quelle iniziali, in netto contrasto con le osservazioni dirette fatte da Hadley. È quanto annunciato dalla scienziata al congresso della Society of Vertebrate Paleontology che si è tenuto lo scorso mese a Ottawa, in Canada.
Secondo Hadley, le specie rare devono possedere delle caratteristiche che permettono loro di sopravvivere. Hadley pensa che “Probabilmente tutto ciò ha a che fare con fattori relativi alla storia biologica, come il periodo di riproduzione, il numero di figli e se la specie è specializzata o generalista. Forse la comunità ha dei legami che noi non siamo ancora in grado di immaginare.”
Secondo Stuart Pimm, della Duke University in Durham, North Carolina, questi risultati potrebbero essere importanti se si suppone che le specie studiate appartengano alle comunità locali e non siano arrivate da altri habitat dove erano più numerose. “È una sfida al modello neutrale, e solleva interessanti questioni sul modo in cui le specie rare sopravvivono”.
Jeff Hecht
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