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Olga Rickards

Olga Rickards

La nostra storia evolutiva

Fossili, biologia molecolare, e dna antico permettono di ricostruire la storia affascinante dell’evoluzione umana. ScienzaEsperienza ha intervistato Olga Rickards, professore del Centro dipartimentale di antrolopogia molecolare dell’Università di Roma Tor Vergata, per raccogliere alcuni pezzi del puzzle di questa storia, che è poi che la nostra storia più antica.

9 febbraio 2007
Ilenia Picardi

Nei vecchi libri di scuola l'evoluzione umana veniva raccontata come un lento cammino di un nostro antico antenato, quasi sempre disegnato con la pelle bianca, che a poco a poco si trasformava in un uomo moderno, magari in giacca e cravatta. In che modo i risultati della ricerca stanno cambiano l’immaginario legato al nostro passato?

Negli ultimi anni, grazie a diverse e complementari linee di ricerca, la storia dell’evoluzione umana ha subito una vera e propria rivoluzione: il gran numero di ritrovameneti fossili che ha caratterizzato gli ultimi trent’anni da una parte, l’impatto della biologia molecolare sviluppatasi a partire dagli anni Sessanta dall’altra, hanno determinato un forte processo di revisione della nostra storia. E mentre il nostro passato si aggiorna, cambia ed evolve anche il nostro modo di raccontarci o piuttosto, come a me piace dire, mutano e cadono alcuni dei paradigmi che dominavano prima nelle vecchie teorie evolutive.


Ci può fare qualche esempio?

Quello più lampante è il cambio di rappresentazione dell’evoluzione stessa, prima spiegata con un modello lineare ora con un cespuglio. Fino agli anni Cinquanta si parlava di un’evoluzione graduale: da uno stato scimmiesco, nel tempo, ci saremmo evoluti fino allo stato di uomo moderno passando attraverso forme intermedie: come quella del pitecantropo, prima, e dell’uomo di Neandertal, poi. Un’evoluzione un po’ bizarra considerato che per tutti gli altri animali era noto un percorso evolutivo non lineare ma ramificato.


Oggi sappiamo invece che lo scenario è simile a quello di tutti gli altri animali: i ricercatori disegnano l’Homo sapiens non più su un percorso dritto ma in un groviglio di tante specie.

Sì. In ogni fase della nostra storia evolutiva sono convissute specie diverse, più o meno contemporanee, e ognuna di queste a un certo punto ha sperimentato la differenzazione di qualche carattere. In questo modello a cespuglio ogni ramo corrisponde a una precisa fase della nostra storia evolutiva. Solo uno di questi rami ha poi portato all’Homo sapiens.


Ma cosa aveva di speciale questo ramo? In altre parole, cosa ci ha reso uomini?

Fino agli anni Cinquanta si riteneva che fossimo divenuti uomini in seguito allo sviluppo di un cervello grande. Ed ecco però, che grazie allo studio dei fossili, cade un altro paradigma del vecchio evoluzionismo. Adesso sappiamo il cammino per diventare uomini è iniziato sei milioni di anni fa quando siamo diventati bipedi e abbiamo acquistato la posizione eretta. È solo allora che il ramo umano ha cominciato a divergere da quello delle scimmie antropomorfe africane, in particolare da quelle dello scimpanzè.


In un certo senso si potrebbe parlare di un’evoluzione iniziata con i piedi...

Detto in modo più preciso, il carattere distintivo della nostra specie è il bipedismo e non il cervello grande. Le dimensioni del cervello aumentano nel genere Homo solo dopo, due milione e mezzo di anni fa, quando la storia evolutiva nostra era già cominciata da un pezzo. In particolare ha smentito questa vecchia tesi, il ritrovamento dei fossili dell’Homo flores, con il suo piccolo cervello, di soli 400 centimentri cubici. il ritrovamento affiancato da resti di un’industria litica avanzata mostrano che la capacità cranica non è stata determinante nello sviluppo delle abilità o di una cultura più raffinata.


Saltando da un ramo a un altro... come siamo scesi dagli alberi?

L’iconografia classica dell’evoluzione rappresenta questo pezzo di storia disegnando un uomo che scende dall’albero e si incammina, in posizione eretta, in un ambiente tutto aperto, la savana. Ma non è andata così: siamo diventati bipedi in ambiente forestale. I nostri primi antenati mostrano caratteristiche degli animali arboricoli, ma i fossili sono tipici dell’ambiente forestale. Quindi, per un bel po’ di tempo, avevamo una andatura mista: andavamo dritti sugli arti inferiore ma eravamo anche in grado di arrampicarci sugli alberi, dove probabilmente abbiamo trovato rifugio e giacigli per la notte.

 

Finora abbiamo parlato principalmente di fossili, qual è stato invece il ruolo dei dati molecolari nella ricostruzione del nostro passato?

A partire dagli anni Settanta gli studi dell’evoluzione hanno potuto affiancare ai fossili dei nuovi strumenti di ricerca provenienti dalla genetica; studi che culminano poi nel 1987 quando “Nature” pubblica l’ipotesi di Eva africana.


Di che cosa si tratta?

Lo studio sul dna mitocondriale in popolazioni vicenti della nostra specie provenienti da varie ragioni geografiche suggerisce che tutte queste sequenze di dna si siano evolute dalla sequenza di un antenato comune. Poiché ogni individuo eredita i mitocondri solo dalla propria madre, in questo modo viene ricostruita la storia al femminile della nostra specie. La scoperta mostrò che tutti gli esseri umani hanno una linea di discendenza femminile che deriva da una donna che i ricercatori hanno soprannominato “Eva mitocondirale”. Si ritiene che Eva sia vissuta circa 150.000 anni fa e che sia vissuta in Africa.


Ma come si fa a capire dove e quando avviene una speciazione?

I ricercatori utilizzano gli orologi molecolari. Questa teoria si basa sul presupposto che il ritmo di mutazione sia costante, quindi, contando il numero di mutazioni di una specie rispetto a un’altra, è possibile sapere quando queste due si sono separate nell’albero evolutivo. Gli studi molecolari hanno trovato che da un punto di vista genetico siamo molto simili agli scimpanzè, quindi che la separzione tra la nostra specie e lo scimpanzè è relativamente recente.


E agli orologi molecolari proprio oggi si affiancano gli studi sul dna antico…

Sì. Proprio recentemente, lo scorso novembre, le riviste “Nature” e “Science” hanno pubblicato i risultati delle ricerche sul sequenziamento di parte del genoma dell’uomo di Neandertal. Lo studio è stato effettuato prelevando il dna antico da un campione di femore di 38.000 anni fa e sono state ricostruite un milione di basi e la data della separazione tra le due specie è fatta risalire a 370.000 anni fa. Uno dei prossimi obiettivi che si vuole raggiungere grazie allo studio del dna antico è capire quali fossero le abilità linguistiche e cognitive. Oggi non sappiamo ancora se Neandertal parlasse oppure no, e probabilmente potremmo presto capire cosa ci ha distinto dal nostro lontano cugino e, forse, cosa ci ha fatto divenire sapiens.

Una questione di fiducia

Mario Riccio Mario Riccio

La conclusione del “caso Englaro” non chiude la questione spinosa della legge sul testamento biologico che in Italia ancora manca e anzi, se come è probabile, verrà votata in questi giorni una legge circoscritta unicamente all'alimentazione e all'idratazione artificiale dei pazienti incapaci di provvedere a se stessi, si rischia di cadere nel caos più assoluto. Come spiega Mario Riccio, medico “Che ha fatto la volontà di Piergiorgio Welby” come recita il titolo di un suo libro – e che è stato assolto l'anno scorso dall'accusa di “omicidio consenziente” - non saranno solo i cittadini a farne le conseguenze, ma anche i medici che si troveranno ad affrontare situazioni sempre più complicate e pazienti sempre meno fiduciosi.

Federica Sgorbissa

11 febbraio 2009

Una legge sul testamento biologico

Boniolo Giovanni Giovanni Boniolo

Il caso Englaro - Beppino Englaro il padre di Eluana, una donna in coma per 17 anni, dopo varie battaglie legali ha ottenuto la sospensione delle cure che tenevano in vita la figlia scatenando così la forte opposizione da parte del Governo Italiano -, ha messo in evidenza la necessità di una legge per il testamento biologico in Italia. Il rischio, o la certezza visto il disegno di legge che dovrebbe essere approvato a breve, è che nella fretta si finisca per far passare un provvedimento parziale e che limiterà la libertà di scelta di ogni cittadino. Con Giovanni Boniolo, filosofo della scienza esperto di bioetica e coordinatore del dottorato in “Foundation of life sciences and their ethical consequences” abbiamo discusso della deriva italiana in fatto di autodeterminazione del paziente.

Federica Sgorbissa

10 febbraio 2009

Tanto rumore per una particella

Maria Curatolo Maria Curatolo

Il Large Hadron Collider è un dispositivo lungo 27 chilometri situato a circa 100 metri di profondità al confine tra Francia e Svizzera. Al suo interno i fasci di protoni corrono a velocità della luce. In alcuni punti la temperatura è da brivido, quasi 270 gradi sotto zero. Ma quando i protoni si scontrano la temperatura sale fino a diventare 1000 miliardi di volte maggiore di quella al centro del Sole. I suoi numeri sono da record: LHC oggi è la macchina più potente e la fabbrica di informazioni più grande del mondo. Il suo obiettivo principale? Trovare una particella: il bosone di Higgs. Maria Curatolo, responsabile per l’INFN dell’esperimento ATLAS, spiega a Scienza Esperienza gli obiettivi degli esperimenti di LHC.

Ilenia Picardi

23 settembre 2008

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