Presenze blu elettrico ai confini dell’alta atmosfera, sono state osservate per la prima volta poco più di un secolo fa, e da allora hanno custodito il loro mistero. Ma un nuovo studio potrebbe aiutare a fare chiarezza sulle strane nubi nottilucenti.
Le catastrofi naturali, per quanto drammatiche, regalano spettacoli spaventosi e bellissimi a chi ha la fortuna di trovarsi a distanza di sicurezza. Nel 1883, sull’isola di Krakatoa in Indonesia, una delle più violente eruzioni vulcaniche che si ricordino rase al suolo centinaia di città e villaggi con una potenza migliaia di volte superiore all’esplosione atomica su Hiroshima. Il botto si sentì chiaramente fino in Australia, e le polveri vulcaniche proiettate fin nell’alta atmosfera colorarono per anni i tramonti in tutto il mondo. Nonostante le sere fossero più fredde, perché la polvere ostacolava i raggi del sole, molti presero l’abitudine di concludere la giornata col naso in su, guardando il cielo. In una di queste occasioni un inglese, un tal Robert Leslie, si accorse di insolite nubi filamentose, lucenti di un freddo blu, alte nel cupo cielo del crepuscolo. Le sue osservazioni furono pubblicate su Nature nell’estate del 1885, seguite presto da altre segnalazioni.
Si pensò che fossero un altro effetto dell’esplosione. Ma se i tramonti ritornarono ai familiari rossi e viola di sempre, e il clima un po’ alla volta riuscì ad aggiustarsi, almeno per quel che riguardava lo schermo delle polveri vulcaniche, le nubi nottilucenti sono rimaste nei nostri cieli. Non solo: sono sempre di più. Se una volta per vederle si sarebbe dovuto superare almeno la latitudine di 50° a nord o a sud, viaggiando per esempio in Inghilterra o nei paesi scandinavi, di recente hanno cominciato a fare capolino nei cieli del Colorado e dello Utah, stati che sono, più o meno, all’altezza della Sicilia.
Della natura delle nubi nottilucenti si sa ancora molto poco. Paul Bellan, che studia la fisica dei plasmi al California Institute of Technology, in un articolo pubblicato sull’ultimo numero del Journal of Geophysical Research, propone una spiegazione per una delle loro proprietà più curiose.
Le nubi nottilucenti, che sospese a 85 km da terra sono le nuvole più alte nel cielo, sono così difficili da studiare perché si formano in una zona di confine, la mesosfera, troppo alta per gli aerei e i palloni sonda, ma più bassa delle orbite dei veicoli spaziali come lo Shuttle: se ne sa così poco che alcuni scienziati la chiamano ignorosfera. Quel di cui si è sicuri, però, è che se da terra si punta un radar contro le nubi nottilucenti, queste, come specchi ben lustri, riflettono indietro quasi per intero il segnale elettromagnetico. “Un’onda elettromagnetica viene riflessa quando accelera degli elettroni, che poi tornano a irradiare l’energia in senso opposto”, nota Bellan. “Ma i razzi che attraversano quella zona hanno misurato un completo svuotamento di elettroni proprio all’altezza a cui si osserva la massima riflessione delle onde radar”.
Si sa, però, che è nella mesosfera che la maggior parte delle meteore in rotta di collisione con la Terra prendono fuoco e si consumano, evaporando in una fine nebbia di atomi di ferro e sodio fluttuanti poco sopra l’altezza a cui si formano le nubi nottilucenti. E quando ci sono le nubi, i vapori metallici si diradano: “Le nubi nottilucenti sembrano funzionare come un’acchiappamosche per gli atomi di ferro e di sodio”, commenta Bellan.
Sui minuscoli cristalli di ghiaccio che formano le nubi si deposita una sottile pellicola di ferro e sodio, come una vernice metallizzata. “I cristalli, rivestiti di metallo, riflettono all’unisono, e il loro potere di riflessione può diventare enorme”, dice Bellan.
Sul perché, invece, stia diventando sempre più comune vederle, anche a basse latitudini, Bellan può solo fare ipotesi: “Le nubi nottilucenti sono un fenomeno estivo perché, a quelle altezze, l’atmosfera è più fredda d’estate: servono temperature molto basse perché si formino i cristalli di ghiaccio. Allo stesso modo”, conclude Belman, “il riscaldamento globale abbassa le temperature nell’alta atmosfera, e se le nubi nottilucenti sono in aumento potrebbe forse essere un segnale del cambiamento climatico”.
La ricerca è pubblicata sulla rivista Journal of Geophysical Research (Paul M. Bellan, Ice iron/sodium film as cause for high noctilucent cloud radar reflectivity, Journal of Geophysical Research 26 agosto 2008, Vol. 113)
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