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CO², l'Oceano Antartico ne assorbe sempre meno

A causa del riscaldamento globale, l'Oceano Antartico è sempre meno in grado di assorbire l'anidride carbonica prodotta dall'uomo

Oceano antartico

Un nuovo studio afferma che l'Oceano Antartico, uno dei bacini di raccolta di cabonio più grandi del mondo, ha iniziato ad assorbire dall'atmosfera sempre meno anidride carbonica, prodotta in gran quantità dagli esseri umani.

Secondo i ricercatori, anche in questo caso la causa risiede nel riscaldamento locale. Esso ha portato i Mari antartici ad essere molto più ventosi che in passato, con la conseguenza che le loro acque sempre più agitate non sono più in grado di assoribire anidride carbonica al passo con le grande quantità in cui viene prodotta.

Le implicazioni sono di vasta portata, ma soprattutto sono una nuova conferma del fatto che le proiezioni future elaborate dall'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) sono troppo ottimiste. È infatti probabile che le temperature aumenteranno più in fretta di quanto previsto.

Corinne Le Quéré e colleghi dell'University of East Anglia, in Inghilterra, sostengono che in base al loro studio i cicli di reazione climatica si svilupperanno tra i 20 e i 40 anni prima di quanto stimato. Infatti una maggiore presenza di anidride carbonica nell'atmosfera ne causa il riscaldamento, il quale a sua volta fa si che gli oceani emettano più anidride carbonica del normale.

"Il problema è serio", afferma Le Quéré. "Tutti i modelli climatici predicono che questo genere di reazioni a catena continuerà e si intensificherà durante il corso del secolo".

I bacini di raccolta di carbonio della terra assorbono normalmente quasi la metà di tutte le emissioni di anidride carbonica causate dagli esseri umani. L'Oceano Antartico è uno dei bacini più grandi, in quanto assorbe quasi il 15% delle emissioni totali di CO². Il gas si dissolve nell'acqua di superficie dell'oceano e viene immagazzinato al freddo in profondità, dove è trattenuto più a lungo che se restasse in superficie.

Purtroppo però, a partire dal 1958, l'Oceano Antartico è diventato sempre più ventoso, e il rimescolamento delle acque ha fatto sì che gli strati più freddi e profondi, quindi più carichi di carbonio, salissero in superficie, rilasciando il gas nell'atmosfera.

Il gruppo di ricercatori coordinati da Le Quéré ha scoperto che questo processo sta rendendo saturo il grande serbatoio dei Mari antartici, che quindi non sono più in grado di assorbire anidride carbonica abbastanza rapidamente per compensarne la produzione umana.

I ricercatori hanno passato 24 anni monitorando la quantità di anidride carbonica presente nell'atmosfera terrestre, e in particolare il suo processo di immissione artificiale per causa umana, e assobimento da parte dei bacini naturali. Molti dei dati che hanno raccolto provengono da una rete di 40 campionatori d'aria posizionati in vari punti del mondo, 11 dei quali si trovano nei pressi dell'Oceano Antartico.

"Abbiamo scoperto che la quantità di anidride carbonica immagazzinata nei Mari antartici non ha cambiato negli ultimi 24 anni", spiega Le Quéré. "È un dato sorprendente, perché durante lo stesso tempo le emissioni di CO² sono aumentate del 40%. All'aumentare dell'anidride carbonica ci saremmo aspettati un incremento della quantità di carbonio nel bacino".

Alcuni studi sul clima sviluppati attraverso l'analisi di strati ghiacciati dell'Antartide hanno dimostrato che nel corso degli ultimi 800.000 anni, ogni aumento della temperatura dell'atmosfera ha significato maggiori perdite di anidride carbonica dalle riserve oceaniche. Alcuni modelli di studio climatico hanno dimostrato inoltre che normalmente questo fenomeno non è osservabile prima che siano passati almeno 20 anni.

"Trovo piuttosto spaventoso il fatto che siamo già al punto in cui possiamo individuare l'impatto di questo cambiamento climatico", conclude Le Quéré. "Rilasciando sempre più anidride carbonica nell'atmosfera è come se stessimo tutti partecipando a un grande e pericoloso esperimento".

Un altro studio, pubblicato assieme a quello di Le Quéré nella rivista scientifica Science, conferma l'indebolimento dei bacini oceanici.

Claudia Benitez-Nelson dell'University of South Carolina, negli Stati Uniti, ha osservato assieme ai suoi colleghi come il fenomeno dei turbini oceanici, noti anche come eddies (che significa "gorghi", "mulinelli"), influenzi negli oceani i meccanismi biologici di immagazzinamento di carbonio. Questi processi, costituiti dall'assorbimento di anidride carbonica per fotosintesi da parte del plancton, sono responsabili della maggior parte dell'assorbimento globale di CO².

Benitez-Nelson ha scoperto che all'aumentare della temperatura delle acque, batteri e piccoli animali galleggianti, come il krill, nel mezzo dei mulinelli riescono ad alimentarsi delle piante di plancton, utilizzando il loro carbonio ed impedendogli quindi di immagazzinarlo sul fondo dell'oceano.

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