Un fisico americano smentisce l'ipotesi secondo la quale l'iperrealismo di certi dipinti dipendeva dall'uso di strumenti ottici.
Gli artisti del Rinascimento non usavano trucchi tecnologici per dipingere, magari proiettando grazie a qualche congegno ottico una immagine della scena che volevano dipingere sulla loro tela. Lo sostiene David Stork, fisico e storico dell'arte della Stanford University in California, che ha presentato i risultati delle sue ricerche alla conferenza sulla Electronic Imaging che si tiene a San Josè (Stati Uniti).
Stork smentisce cosí una tesi presentata per la prima volta nel 2001 dal pittore David Hockney nel suo libro Secret Knowledge. Secondo Hockney, lo straordinario realismo di certi dipinti rinascimentali era ottenuto proiettando l'immagine da rappresentare sulla tela, immagine che poi veniva di fatto semplicemente ricalcata. Questa teoria implicava anche il possesso a partire dal 1420 circa di strumenti ottici piuttosto avanzati. Fino a oggi, però, si sapeva che solo all'inizio del XVIII secolo alcuni pittori usarono questa tecnica. Fra questi il veneziano Canaletto.
Stork ha usato un software per l'analisi delle immagini per studiare le ombre di un dipinto di Georges de la Tour, il Cristo nella bottega del falegname risalente al 1645. Visto il tipo di lenti esistenti all'epoca, ragiona Stork, la luminosità della scena sarebbe dovuta essere ridotta di mille volte circa una volta proiettata sulla tela, rendendo impossibile qualsiasi tentativo di ricalco, a meno che non ci fossero dozzine di candele e lumi a illuminarla. Ma le ombre del dipinto e la luce che illumina la figura di San Giuseppe dimostrano che al massimo lo studio era illuminato da una candela. Una conclusione che Hockney non sembra accettare, anche se l'evidenza è ormai contraria alla sua tesi.
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