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Riccardo Villani

Riccardo Villani

La legge, il concepimento e la nascita

Le implicazioni giuridiche di problematiche inerenti i diritti dell'embrione, della donna e della coppia nel suo insieme sono al centro di un acceso dibattito sulla fecondazione medicalmente assistita. La sfera del diritto raccoglie e rielabora le tematiche scientifiche ed etiche che il dibattito solleva. Ne abbiamo discusso con l'avvocato Riccardo Villani, professore di Diritto dei Contratti nel Dipartimento di Scienze Giuridiche dell'Università degli Studi di Ferrara.

26 maggio 2005
Francesco Scarpa

Dal punto di vista legale è possibile stabilire quando una cellula, o un insieme di cellule, diventa un soggetto avente diritto?

In realtà questo è uno dei grandi problemi che solleva la legge 40 approvata nel febbraio scorso. In precedenza la questione praticamente non si poneva. Infatti per quanto attiene alla nostra disciplina giuridica, l'articolo 1 del codice civile ci dice che la capacità giuridica si acquista con la nascita. Siamo molto lontani da un discorso legato alla cellula. In passato non si discuteva della possibilità di riconoscere soggettività o meno a una cellula o a due cellule o a un insieme di cellule: l'embrione non esisteva nel mondo del diritto. Quando il codice civile è stato fatto nel 1942, problematiche di questo genere erano lontane anni luce, e quindi, quello che al massimo ci si chiedeva all'epoca era: cosa succede al nascituro, cioè a chi sta per nascere ma non è ancora nato, alla luce di quell'aticolo 1 del nostro codice civile, un articolo fondamentale che in sostanza dice: sei persona nel momento in cui nasci.

Col passare del tempo ci si è accorti che in realtà conveniva anticipare la questione dell'applicazione di certe regole, perché grazie a una maggior sensibilità, ma soprattutto per una maggior conoscenza dei processi biologici e naturali, si è capito che fermarsi alla nascita non andava bene.

Sembra paradossale (per chi si occupa della pratica del diritto non lo è affatto), ma il provvedimento che maggiormente ha affrontato il problema della tutela dell'embrione è la stessa legge numero 194 del 1975 sull'interruzione volontaria della gravidanza. L'articolo 1 di quella legge stabilisce, infatti, che "lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile (...) e tutela la vita umana dal suo inizio". Ciò significa che al di fuori delle ipotesi tassative previste da quella normativa (e che sono legate alla esclusiva tutela della salute psico-fisica della madre) la vita in divenire è intangibile.

La disciplina sull'interruzione volontaria della gravidanza ha individuato una tutela del nascituro molto anteriore al momento della nascita. Nel passaggio che disciplina l'interruzione della gravidanza si è teso a sostenere che lo Stato tutela la vita fin dal suo inizio. Anche se non è chiaro quando si collochi l'inizio; dopodiché dato questo presupposto si sono individuate le ipotesi nelle quali si può ricorrere all'aborto.

La tutela approntata dalla legge sull'aborto tende in realtà a preservare il nascituro, il feto in sviluppo, salvo quei casi specificamente previsti dalla legge in cui è consentito l'aborto, non come fine a se stesso ma nel confronto con il diritto alla salute della madre. Ci sono infatti casi tassativi in cui la salute della madre deve prevalere, e quindi anche in situazioni drammatiche, si è scelto di preferire la vita della madre piuttosto che quella del nascituro, e consetire in questo caso l'aborto.

Una nota sentenza della Corte costituzionale (la 27 del 1975) affermò, infatti, che nell'eventuale contrasto tra i diritti della donna e quelli dell'embrione (nell'ipotesi per esempio di interruzione volontaria della gravidanza) dovevano senz'altro essere ritenuti prevalenti quelli della prima in quanto già persona, rispetto a chi persona ancora doveva divenire. Ciò non significava che all'embrione non dovesse essere riconosciuta una qualche forma di tutela, ma significava solo che la sua posizione, in un'ottica di bilanciamento degli interessi, doveva essere ritenuta subordinata a quella legata alla salute della madre che lo portava in grembo.

Al di fuori di questi casi, il nascituro deve essere tutelato e ha diritto alla vita. In realtà, come dicono tutte le pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione che nel tempo si sono avvicendate, si deve fare il possibile perché la nascita si realizzi.

In ogni caso siamo ancora molto lontani dalla questione posta nella sua domanda. Uno degli elementi che questa legge ha introdotto nell'articolo 1 è la tutela di tutti i soggetti compreso il concepito. Ma continuiamo a essere lontani dal contenuto della domanda: non si parla di una cellula o di un insieme di cellule. Il problema sta proprio lì. Noi stessi siamo un insieme di cellule, siamo il frutto dello sviluppo di quella cellula iniziale da cui abbiamo preso vita, origine. Quindi, un problema centrale nell'ambito del diritto è quello di individuare e definire il concepito; ciò non ha nulla a che fare con questioni bioetiche, morali o religiose. A me e al legislatore dovrebbe interessare questo tipo di problema, e non l'individuazione del momento in cui si può parlare di soggetto di diritto.

La legge fa riferimento al concepito, ma dire "il concepito" è un po' generico, anche in un'ottica di confronto con le legislazioni straniere. La nostra legge ha scelto di non dare alcuna definizione, cioè non dice che cosa sia un embrione. Al contrario le legislazioni straniere affrontano la questione: le legislazioni britannica, svizzera e tedesca prendono una posizione, ognuna a modo suo. Parlare di embrione, come indicato nella nostra legge, si presta evidentemente a interpretazioni. Infatti molti scienziati, come il professor Flamini, sostiengono che l'uso dell'espressione embrione fa riferimento a qualcosa di scientificamente ben preciso, che pare essere diverso dal concetto di semplice insieme di cellule, se con "insieme di cellule" intendiamo la partenza, l'innesco del meccanismo riproduttivo.

L'embrione sarebbe qualcosa che si forma in una fase successiva della gravidanza. Se venisse accettata quest'ultima interpretazione la maggior parte dei problemi connessi con la nuova legge verrebbero meno. La legge 40 impone una lunga serie di divieti, per esempio la crioconservazione, la possibilità di compiere esperimenti con la facoltà di produrre embrioni in numero superiore a tre. Tutti divieti che si riferiscono all'embrione. Allora a me parrebbe un elemento fondamentale stabilire innanzitutto che cosa è un embrione. La legge ha taciuto in merito: questo è un problema al quale non c'è una risposta sicura in questo momento.

La legge è nuova di zecca, bisognerà però vedere come la si applica: se verrà accettata l'idea che l'embrione è cosa diversa dalla semplice cellula uovo fecondata, penso che ciò basti a scardinarla interamente, perché in questa interpretazione molti divieti cadrebbero. Ma l'attuale orientamento non sembra andare in questa direzione. Una recentissima pronuncia del Tribunale di Roma sosteneva che scientificamente non c'è alcuna somiglianza tra una cellula uovo fecondata e l'embrione. Per coerenza con questa premessa, mi aspettavo che si sostenesse di conseguenza che i divieti applicati all'embrione non si possono applicare in un momento precedente, dove di embrione non si può parlare. Invece, stranamente, si conclude dicendo in sostanza che l'intenzione del legislatore è quella di utilizzare la parola embrione in senso non tecnico e di indirizzarla anche alla cellula uovo fecondata, con il ché si ritorna a portare fino all'origine tutti i divieti della legge.

Questo è un punto assolutamente fondamentale. Visto che il legislatore non ha preso posizione, l'interpretazione in via applicativa della legge porterebbe a strade opposte. Una è appunto quella delineata dal Tribunale di Roma. Se si conferma questa linea la legge chiude praticamente la strada quasi a tutto. Ma quella del Tribunale di Roma è la prima pronuncia in merito, non è detto che sia l'unica. Ne sono uscite altre tre in tutto, però riguardavano questioni diverse. Su questo argomento, che io ritengo fondamentale, vi è al momento solo questa.

In ogni caso, ritornando alla domanda, definire soggetto qualche cellula è da un punto di vista giuridico un'affermazione estremamente forte. Inoltre, attribuire all'embrione lo stato di soggetto non basta. Bisogna non solo prendere una posizione, ma occorre che questa scelta si armonizzi con tutto il sistema legislativo che ci sta intorno. Aver preso la posizione di elevare a soggetto l'embrione crea non pochi problemi, e di fatto, non a caso, è un tema che coinvolge uno dei referendum. Infatti quelli che l'hanno proposto tendono a far saltare la prescrizione che riguarda la soggettività dell'embrione: è chiaro che se questo punto della legge salta, ritorniamo al punto di prima; torniamo cioè alla tutela riconosciuta con la disciplina sull'interruzione della gravidanza, ad altre leggi speciali, al fatto che è principio basilare che la vita prenatale vada tutelata, senza però spingersi fino all'embrione in vitro.

Indipendentemente dall'attuale legge, quali sono in generale i diritti legati alla salute della donna che entrano in gioco nell'ambito della procreazione medicalmente assistita?

Diventa una problematica di tipo sanitario in senso generale, non diversa da quella che probabilmente si pone rispetto a ogni intervento sanitario, cioè regolata da principi di rispetto del consenso, principi della libera revocabilità del consenso in ogni momento. L'articolo 32 della nostra Costituzione dice che nessuno può essere sottoposto a trattamento sanitario contro la sua volontà. Da questo principio fondamentale discendono un'infinità di applicazioni pratiche. Semplificando, diciamo che nulla può essere fatto sul corpo di nessuno, che sia uomo o donna, a prescindere dal proprio consenso. Inoltre, il consenso può in ogni momento essere revocato. Tutto quello che attiene agli interventi sulla salute delle persone e ai trattamenti sanitari è sottoposto a questo principio.

La legge 40 apparentemente sembra metterlo in discussione. In realtà si ritiene che non si sia riuscito a intaccare questo principio, per quanto il terzo comma dell'articolo 6 della legge dice che non si può revocare il consenso dopo la fecondazione dell'ovulo. Sembrerebbe una cosa banale ma se ci si riflette, è dirompente nelle conseguenze, perché la fecondazione dell'ovulo è una tecnica che avviene in un qualche ambulatorio medico. Eseguita questa prima procedura della fecondazione in vitro, devono ancora iniziare i trattamenti medici sulla donna. Nel senso che una volta fecondato l'ovulo, successivamente si deve controllare che il processo si sia innescato. Solo dopo si procede con l'impianto nel corpo della donna. La legge dice che non si può più revocare il consenso dopo la fecondazione. I più all'indomani delle legge hanno interpretato tutto ciò come l'impossibilità di revoca del consenso al fine di far continuare il processo innescato. Paradossalmente la donna dovrebbe essere costretta a sottostare all'impianto dell'embrione nel suo corpo, perché non può più revocare il consenso, dopo una prima fase che si è conclusa.

La legge lo dice testualmente. Non mi sembra però che il principio possa essere inteso in questa maniera, perché altrimenti saremmo quasi in un regime di polizia: non si può costringere una donna a subire l'impianto di un embrione nei cui confronti ha cambiato idea. Una scelta differente da parte della donna potrebbe derivare da svariate ragioni, fino al fatto, forse quello meno condivisibile, che la donna ha semplicemente cambiato idea, cioè ieri ne aveva voglia e oggi non ne ha più voglia. Ma ci potrebbero essere casi ben più seri, ragionevoli, come per esempio la morte del marito o del compagno: si ha l'intenzione di avere dei figli a condizione però che abbiano un padre, ma se nel frattempo, dopo la prima fase di fecondazione dell'ovulo, il padre muore, è possibile che una donna possa cambiare idea, e non avere più intenzione di avere un figlio.

Nell'ottica di una straordinaria tutela dell'embrione, sostenere che una volta creato in vitro l'embrione, lo si deve per forza far nascere, è un'interpretazione comunque molto forte. In ogni caso, teniamo presente che c'è sempre la legge sull'interruzione della gravidanza: questo è un gradino insuperabile. Paradossalmente un attimo dopo che la donna fosse stata costretta all'impianto dell'embrione, c'è la legge sull'interruzione della gravidanza che le consente entro non più di novanta giorni di abortire. Quindi mi chiedo che beneficio si è ottenuto nell'ottica di tutela dell'embrione. Nessuna, perché è ovvio che se una donna rifiutasse l'impianto di quell'embrione, un istante dopo che l'avesse paradossalmente subito, chiederebbe l'aborto. Con l'aggravante che si esporrebbe a rischi di interventi. È una norma oggettivamente paradossale.

Inoltre, l'obbligo di impiantare tutti gli embrioni prodotti (stabilito dall'articolo 14 della legge 40) porta con sé l'aberrante conseguenza che anche qualora si accertasse che l'embrione è gravemente malato esso dovrebbe essere ugualmente impiantato. Circostanza che pare del tutto illogica anche alla luce del fatto che, comunque, come detto, la donna potrà ricorrere, un istante dopo l'impianto, all'interruzione della gravidanza.
L'obbligo di produrre non più di tre embrioni per volta, unito al divieto di crioconservarli (sempre previsto dall'articolo 14) fa sì che nell'ipotesi (tutt'altro che remota) di fallimento del primo impianto la donna debba sottoporsi a nuovi cicli di stimolazioni. Con evidente disagio oltre che pericolo fisico e psicologico.

Per concludere, il prevalente desiderio di tutela a tutti i costi dell'embrione rischia di far passare in secondo piano lo stesso diritto alla salute della madre, la quale risulta esposta a disagi e pericoli in nome di non si sa bene che cosa, vista, comunque, la vigenza della legge sull'interruzione volontaria della gravidanza. Ciò, dunque, che non le è permesso quando ancora l'embrione è conservato in una provetta di vetro, le sarà consentito un attimo dopo che la gravidanza dovesse essere iniziata. Il che, francamente, suscita più di qualche perplessità.

Come si sono "parlate" nel tempo la scienza e il diritto?

Nel caso specifico della legge 40, il dialogo tra scienza e legge pare essere stato, purtroppo, un dialogo tra sordi. In sede di lavori preparatori della legge, numerose sono state le audizioni di illustri scienziati e specialisti della materia, che tuttavia non hanno dato i frutti sperati. Pur occupandomi, io, esclusivamente di diritto, devo dire che le ragioni della scienza paiono essere state del tutto disattese dalla legge 40, la quale, a mio avviso, ha perso un'occasione importante. Cioè quella di disciplinare in maniera equilibrata (sottoponendo, magari, a rigorosi controlli) certe attività. Il supremo principio dell'intangibilità dell'embrione in vitro ha fatto sì che tutto ciò che potrebbe portare o all'evoluzione delle conoscenze in materia di malattie genetiche, o alla prevenzione delle stesse, o alla loro cura o, infine, alla semplice riuscita del progetto genitoriale, nel rispetto della salute della madre, sia stato talmente limitato e costretto dai divieti della legge il cui principale (almeno a voler credere ai primi dati statistici pubblicati dai media) a un anno di distanza dall'approvazione della normativa è stato quello, da un lato, della forte diminuzione delle procedure di procreazione assistita e, dall'altro, il notevole incremento dei viaggi all'estero (per chi può permetterseli) verso i centri di procreazione maggiormente permissivi. Senza contare il blocco totale della ricerca sulle cellule staminali embrionali.

Nota della redazione

È possibile consultare il testo completo della legga 40 che disciplina la procreazione medicalmente assistita all'indirizzo: http://www.parlamento.it/parlam/leggi/04040l.htm

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