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Umberto di Porzio

Umberto di Porzio

Le frontiere della biologia: neuroni e cellule staminali

Abbiamo incontrato Umberto di Porzio, direttore del Laboratorio di Neurobiologia dello Sviluppo dell'Istituto di Genetica e Biofisica "Adriano Buzzati Traverso" di Napoli, per fare il punto sulle più recenti ricerche in questo complesso campo scientifico e sul loro impatto sul tessuto socioculturale italiano.

5 maggio 2006
Francesco Scarpa

Professor di Porzio, Lei lavora da anni in questo istituto di grande prestigio. Quali sono le linee scientifiche seguite in questi anni e come sono nati in particolare i suoi studi?

L'istituto di genetica e biofisica in cui lavoro fu fondato all'inizio degli anni Sessanta da Adriano Buzzati Traverso: era il primo istituto italiano che tentava di organizzare in Italia un sistema di alta formazione in biologia molecolare. Affiancato da Luca Cavalli Sforza, altro grande genetista italiano, Buzzati Traverso voleva creare un'istituzione di alto livello, di elevata qualità scientifica, in collaborazione con la Stanford University. La finalità era quella di introdurre anche in Italia i dottorati di ricerca, presenti già da diversi anni in molti altri paesi.

Fin dall'origine l'Istituto si è caratterizzato per una forte propensione verso le ricerche di base di biologia molecolare più avanzata. Si è poi orientato anche verso una direzione che privilegiava la genetica umana da una parte e la biologia dello sviluppo dall'altra, grazie soprattutto al contributo di Lucio Luzzatto.

Io ho fatto la tesi di laurea qui. Quando ero uno studente di medicina, alla fine del 1970, ho lavorato sul virus batterico T4, che è un eccellente modello per capire il funzionamento del DNA. Poi ho continuato le mie ricerche in America. Dopo quattro cinque anni sono ritornato per occuparmi dello sviluppo del sistema nervoso, in particolare, del sistema dopaminergico. I neuroni dopaminergici si trovano nel mesencefalo, una parte dell'encefalo. Pur essendo in numero molto limitato, sovrintendono a diverse attività e regolano comportamenti fondamentali, come il movimento, le emozioni, i sentimenti di ricompensa ecc. La loro degenerazione porta al morbo di Parkinson; in generale, sono implicati sia in malattie di tipo psichiatrico, come per esempio la schizofrenia, sia in malattie neurologiche. Si chiamano così perché utilizzano la dopamina come neurotrasmettitore, cioè come molecola di segnalazione e di trasmissione dell'informazione a livello neuronale.

Quali sono state le ricerche più significative?

Alcuni anni fa ci siamo proposti di capire quali siano i meccanismi che regolano lo sviluppo di questi neuroni, che, fra l'altro, hanno la capacità di creare connessioni con zone molto distanti del cervello. Mandano infatti assoni nella parte centrale dell'encefalo fino a raggiungere anche la zona frontale della corteccia. Quindi, fondamentalmente, ci siamo occupati della parte della biologia di base che riguarda lo sviluppo del sistema dopaminergico e i meccanismi attraverso i quali si potesse riorganizzare un circuito che si era alterato, grazie al trapianto di nuovi neuroni.

Originariamente abbiamo lavorato su neuroni embrionali in modelli animali di topo, in cui era stato indotto il morbo di Parkinson procurando una lesione che eliminava tutti i neuroni dopaminergici del mesencefalo. Alla fine degli anni Ottanta questi studi hanno permesso di capire che non è sufficiente che un neurone produca dopamina per svolgere la funzione di un neurone dopaminergico nella ricostruzione di un circuito alterato. Abbiamo fatto poi una serie di altri esperimenti in cui trapiantavamo sia neuroni dopaminergici embrionali presi dal mesencefalo, sia neuroni dopaminergici presi da una diversa area cerebrale. Abbiamo scoperto che in realtà, mentre i primi erano capaci di svilupparsi e di riorganizzare il circuito danneggiato, i secondi, al contrario, pur non morendo, erano incapaci di espandersi creando nuovi assoni.

Questa è stata la base di uno studio che stiamo conducendo attualmente sulle cellule staminali, cioè su quelle cellule che potenzialmente possono svilupparsi in qualsiasi tipo di cellula. Utilizziamo cellule staminali prelevate dal sistema nervoso. Oggi siamo in grado di indurre una cellula staminale a diventare un neurone, in particolare un neurone dopaminergico, grazie all'uso di una serie di fattori morfogeni di induzione e di attivazione, cioè di molecole che funzionano durante lo sviluppo embrionale per indurre il fenotipo dopaminergico.

La domanda è allora: come riusciamo a fare di una cellula, in particolare di un neurone dopaminergico, un neurone dopaminergico che sia veramente quello di un determinato circuito neuronale? Questa è una domanda aperta a cui noi stiamo cercando di rispondere. Si tenta di capire sia da un punto di vista cellulare sia per gli aspetti connessi con l'attivazione di geni, quali siano i meccanismi che danno una specificità dopaminergica mesoncefalica e che hanno la capacità di riformare una certa funzionalità. È un lavoro di ricerca di base con qualche prospettiva di applicazione futura.

Lei ha toccato il tema della ricerca sulle cellule staminali. Che ne pensa della situazione italiana e dei limiti imposti dalla legge sulla procreazione medicalmente assistita?

La legge italiana sulla procreazione assistita è una legge ignobile per tutto quello che comporta per la salute della donna, la dignità della donna e la regolazione della salute in generale; è una legge che vieta inoltre la possibilità di ogni tipo di ricerca sulle cellule staminali embrionali umane. Quest'aspetto non tocca nello specifico i nostri laboratori, perché noi lavoriamo sui topi. Tuttavia colpisce l'intera ricerca italiana.

Quando ero giovane, molti andavano in America per poter fare ricerca di un certo livello; c'era effettivamente un gap tecnologico. Qui in Italia avevamo pochissime attrezzature. Molti andavano lì per sviluppare le proprie ricerche, se erano bravi e capaci. Alcuni, come me, sono ritornati, cercando di ridurre con l'esperienza acquisita il gap tecnologico. Oggi accade qualcosa di diverso: molti giovani scienziati vanno via non solo perché non hanno un posto dove lavorare ma anche perché esiste una grossa limitazione alla possibilità di svolgere ricerche sulle cellule staminali in Italia, a differenza degli Stati Uniti o di altri paesi europei.

Ciò ha creato una situazione ancora più grave che in passato. Il gap tecnologico si è ridotto quasi completamente, pur rimanendo in Italia il grosso problema dei finanziamenti alla ricerca. Tuttavia l'aspetto estremamente negativo è l'istaurarsi di un nuovo gap culturale e di conoscenze, per cui mentre i coreani, i cinesi, i californiani, gli inglesi potranno portare avanti le loro ricerche sulle cellule staminali embrionali umane, noi potremo fare in questo campo solo una ricerca di retroguardia.

Che ne pensa degli scienziati che hanno appoggiato la legge, su quali basi scientifiche?

Innanzitutto il gruppo di scienziati favorevole alla legge rappresenta una piccola minoranza della comunità. La campagna referendaria per l'abolizione della legge è stata prevalentemente condotta attraverso uno schema a due: nei dibattiti televisivi, per esempio, da una parte uno a favore della ricerca sulle staminali, dall'altra uno contrario. Quindi l'impressione globale che veniva trasmessa al pubblico era che esistesse una metà degli scienziati a sostegno di una posizione e l'altra metà contraria. Ciò non è assolutamente vero.

Io credo che i pochissimi scienziati a favore della legge abbiano commesso un errore scientifico gravissimo, perché su base ideologica hanno manipolato e trasmesso delle informazioni scientifiche sbagliate. La prima è stata quella di creare una dicotomia e una contrapposizione tra le cellule staminali embrionali e quelle adulte. Tutti quanti sapevano che esistono cellule staminali sia nell'embrione che nell'individuo adulto, e che entrambe mantengono una certa pluripotenzialità, cioè possono diventare più tipi di cellule. Questo è un fenomeno che è stato definito transdifferenziazione, per cui una cellula staminale del sistema ematopoietico può diventare, per esempio, un neurone. Esistono però delle differenze fondamentali: la prima è che una cellula embrionale si può ottenere solo da un embrione, mentre una staminale adulta, ovviamente da individui adulti, ma solo da particolari siti che sono di facile accesso, come il midollo osseo. Le cellule staminali dell'embrione hanno inoltre un ritmo di proliferazione molto elevato; quelle dell'adulto hanno invece un ritmo di riproduzione molto più basso. Quindi, se si volesse utilizzarle per ottenere un gran numero di cellule per poi trapiantarle, ciò costituirebbe già una grossa differenza.

Il secondo problema è che non sappiamo abbastanza e delle cellule staminali embrionali e di quelle adulte, quindi è completamente insensato dire: "dobbiamo lavorare su quelle adulte piuttosto che su quelle embrionali". Certamente esiste una questione etica e morale che riguarda le istituzioni, le persone, ma io vorrei ricordare che quando Leonardo e Michelangelo studiavano l'anatomia, lo facevano in una maniera illegale perché la chiesa cattolica allora riteneva illegittima la dissezione di un corpo umano. L'etica cambia, perché è storicamente determinata: ci sono alcune cose che si mantengono, come alcuni principi etici, mentre altri aspetti della società si trasformano.

In un mondo globalizzato non può esistere l'etica di un sol paese che ha una storia di legami molto forti con la religione cattolica e con i suoi organi. Esistono anche dei principi generali che dovrebbero valere per tutti. Credo abbia delle gravi responsabilità chi ha preso una posizione, utilizzando la sua qualificazione scientifica, per creare una finta contrapposizione e dare poi delle certezze sulle cellule staminali adulte in maniera assolutamente infondata. Non sono il solo a pensarla così. Elena Cattaneo, per esempio, un'illustrissima scienziata dell'Università di Milano, porta avanti da anni progetti internazionali di altissimo livello sulle cellule staminali, e ha combattuto con forza questa visione settaria. Lei, a differenza di me, è cattolica. Ciò vuol dire che è possibile conciliare una visione religiosa con una visione scientifica più moderna. Ci vuole solo una buona testa.

Una questione di fiducia

Mario Riccio Mario Riccio

La conclusione del “caso Englaro” non chiude la questione spinosa della legge sul testamento biologico che in Italia ancora manca e anzi, se come è probabile, verrà votata in questi giorni una legge circoscritta unicamente all'alimentazione e all'idratazione artificiale dei pazienti incapaci di provvedere a se stessi, si rischia di cadere nel caos più assoluto. Come spiega Mario Riccio, medico “Che ha fatto la volontà di Piergiorgio Welby” come recita il titolo di un suo libro – e che è stato assolto l'anno scorso dall'accusa di “omicidio consenziente” - non saranno solo i cittadini a farne le conseguenze, ma anche i medici che si troveranno ad affrontare situazioni sempre più complicate e pazienti sempre meno fiduciosi.

Federica Sgorbissa

11 febbraio 2009

Una legge sul testamento biologico

Boniolo Giovanni Giovanni Boniolo

Il caso Englaro - Beppino Englaro il padre di Eluana, una donna in coma per 17 anni, dopo varie battaglie legali ha ottenuto la sospensione delle cure che tenevano in vita la figlia scatenando così la forte opposizione da parte del Governo Italiano -, ha messo in evidenza la necessità di una legge per il testamento biologico in Italia. Il rischio, o la certezza visto il disegno di legge che dovrebbe essere approvato a breve, è che nella fretta si finisca per far passare un provvedimento parziale e che limiterà la libertà di scelta di ogni cittadino. Con Giovanni Boniolo, filosofo della scienza esperto di bioetica e coordinatore del dottorato in “Foundation of life sciences and their ethical consequences” abbiamo discusso della deriva italiana in fatto di autodeterminazione del paziente.

Federica Sgorbissa

10 febbraio 2009

Tanto rumore per una particella

Maria Curatolo Maria Curatolo

Il Large Hadron Collider è un dispositivo lungo 27 chilometri situato a circa 100 metri di profondità al confine tra Francia e Svizzera. Al suo interno i fasci di protoni corrono a velocità della luce. In alcuni punti la temperatura è da brivido, quasi 270 gradi sotto zero. Ma quando i protoni si scontrano la temperatura sale fino a diventare 1000 miliardi di volte maggiore di quella al centro del Sole. I suoi numeri sono da record: LHC oggi è la macchina più potente e la fabbrica di informazioni più grande del mondo. Il suo obiettivo principale? Trovare una particella: il bosone di Higgs. Maria Curatolo, responsabile per l’INFN dell’esperimento ATLAS, spiega a Scienza Esperienza gli obiettivi degli esperimenti di LHC.

Ilenia Picardi

23 settembre 2008

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