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Post-Kyoto: in che direzione va il cambiamento climatico?

Dal 3 al 14 Dicembre si svolge nell'isola di Bali la "United Nations Framework Convention on Climate Change". 190 nazioni cercano di ri-mettersi d'accordo su come salvare la terra da inquinamento e riscaldamento globale.

Il clima nei prossimi dieci anni

Ancora non si è concluso un accordo che già si pensa a uno nuovo.

Potrebbe sembrare eccessivo, ma quando si tratta di clima e inquinamento la prudenza non è mai troppa.

A confermarlo sono i dati presentati all'inizio del nuovo convegno Framework Convention on Climate Change, organizzato nell'isola indonesiana di Bali dalle Nazioni Unite, a cui partecipano 190 nazioni e più di 10.000 delegati.

Tra gli obiettivi principali della Convention, quelli di stabilire nuove politiche per ridurre l'effetto serra e di elaborare un piano di azione per quando, nel 2012, si concluderà il primo ciclo del Protocollo di Kyoto, concordato nell'ormai lontano 1997.

A leggere i dati recentemente pubblicati dalla Climate Change Secretariat delle Nazioni Unite, si ha però l'impressione che a preoccuparci dovrebbe essere non solo il futuro, come spesso accade quando si parla di cambiamento climatico, ma soprattutto il presente.

Dallo studio sulla situazione attuale del Protocollo di Kyoto emerge infatti che le emissioni di gas serra nel 2005 sono andate aumentando così tanto da raggiungere livelli mai toccati prima.

Secondo gli obiettivi stabiliti dal Protocollo di Kyoto, entro il 2012 le nazioni che vi hanno aderito dovrebbero ridurre dell'11 per cento le proprie emissioni di gas serra.

Nella realtà, la maggior parte di queste riduzioni pare che verrà risolta attraverso l'ormai famoso "mercato" del Protocollo di Kyoto (che si aggira ormai sui 30 miliardi di dollari all'anno): le nazioni più ricche, e tra queste, inutile nasconderci, c'è proprio l'Unione Europea, invece che investire nello sviluppo di sistemi meno inquinanti comprano "quote" dai paesi poveri che hanno livelli di emissioni molto inferiori al limite stabilito.

Da questo punto di vista, finora la conferenza di Bali non sta dando grandi soddisfazioni a tutti coloro che guardano con preoccupazione a questi dati. Il segretario esecutivo del summit, Yvo de Boer, ha infatti confermato che per ora non verranno rese obbligatorie nuove limitazioni sull'emissione di gas serra.

L'affermazione di Boer fa particolare riferimento alla richiesta presentata durante la conferenza, e sottoscritta da molti dei delegati presenti, di introdurre un nuovo obiettivo per il 2020, ovvero che le nazioni ricche riducano tra il 25 e il 40 per cento le proprie emissioni di gas serra.

Ad opporsi alla proposta sono stati soprattutto Stati Uniti, Giappone e Canada, che hanno affermato che "non sarebbe stato corretto" nei confronti degli obiettivi e delle negoziazioni già stabilite dal Protocollo di Kyoto.

Ancora non è stato pubblicato l'importante testo finale di accordo che dovrebbe emergere da questa Framework Convention, ma quello che viene confermato sempre più chiaramente è che a rimetterci saranno soprattutto un gruppo di 100 nazioni: vi fanno parte tutti i paesi poveri dell'Africa, ma anche tutti quegli stati considerati "vulnerabili", come ad esempio isole, stati composti in prevalenza da coste, le calotte polari e le zone asiatiche dove si trovano grandi estuari.

Tra queste, ad esempio, rientrano le Maldive, Haiti, le isole Samoa e quelle di Capo Verde, Cuba, la Jamaica, Malta, Singapore e una lunga lista di stati africani.

Tutti questi paesi sono tra i meno responsabili dell'inquinamento che sta avendo gravi effetti sul clima di tutto il mondo: basti considerare che la loro "fetta" di inquinamento corrisponde in totale al 3,2%, mentre gli Stati Uniti producono il 23,3%, l'Europa il 24,7% e la Cina il 15,3%.

Rimangono tuttavia alte le aspettative sulle conclusioni che emergeranno da questo grande summit mondiale, e qualche buona notizia è già stata confermata ufficialmente.

Tra queste, una delle più importanti riguarda la creazione di quello che è stato chiamato l'Adaptation Fund, ovvero un fondo di aiuti dedicato specialmente ai paesi in via di sviluppo e a quelli maggiormente minacciati dagli effetti di inquinamento e riscaldamento globale, affinchè possano disporre di maggiori risorse da dedicare all' "adattamento" ai nuovi effetti del cambiamento climatico.

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