Uno studio genetico individua alcuni cambiamenti evolutivi chiave nello sviluppo della specie umana.
Gli scimpanzé e gli esseri umani condividono almeno il 98% del loro dna, eppure gli scimpanzé sono una specie a rischio, mentre gli uomini hanno cambiato il pianeta a proprio piacimento. Secondo un nuovo studio, quello che ci rende diversi sarebbero alcuni cambiamenti evolutivi nella regolazione di un gene coinvolto nella percezione, nel comportamento e nella memoria.
Trent'anni fa, la genetista Mary-Claire King e il biochimico Allan Wilson proposero che i cambiamenti nel modo in cui i geni sono regolati, piuttosto che nelle proteine che essi codificano, potevano spiegare le grandi differenze tra uomini e scimpanzé ("Science", 11 Aprile 1975, p. 107).
Per verificare questa ipotesi, un team internazionale guidato dal biologo evoluzionista Gregory Wray, della Duke University di Durham, nel North Carolina, si è concentrato sul gene che codifica la proteina prodinorfina (PDYN), un precursore di un certo numero di endorfine, molecole simili agli oppiacei che sono coinvolte nei processi di apprendimento, di socializzazione, ma anche nelle dinamiche legate all'affettività o al dolore.
I ricercatori hanno sequenziato questa regione regolatrice e del dna che la fiancheggia da 74 cromosomi umani e da 32 cromosomi provenienti da altri sette primati, tra cui scimpanzé, gorilla e oranghi. Come pubblicato sul numero di dicembre di "PloS Biology", nessuno dei primati non umani aveva più di una copia della regione. Inoltre, tutte le copie umane avevano cinque mutazione del dna non viste negli altri primati e la regione regolatrice umana aveva indotto un'espressione del gene PDYN superiore del 20% a quella prodotta dalla regione regolatrice dello scimpanzé. Il team ne ha dedotto che il modello è un valido esempio di selezione naturale che agisce sulla linea evolutiva umana dopo che questa si è separata da quella dello scimpanzé dai 5 ai 7 milioni di anni fa.
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