A Roma si è discusso di un sistema di avvertimento per gli tsunami nell'Atlantico e nel Mare Nostrum.
Il rischio che il Mediterraneo o l'Oceano Atlantico nordorientale siano sconvolti da un maremoto è più grande di quello dell'Oceano Indiano. Lo ha detto Keith Alverson, direttore del Global Ocean Observing System della International Oceanographic Commission, in occasione dell'incontro tenuto a Roma lo scorso 21 e 22 novembre.
In questo incontro sono state gettate le basi di quello che dovrebbe essere il futuro sistema di allarme per il Mediterraneo e l'Atlantico, modulato su quello che proprio in queste settimane inizia a essere posizionato al largo delle coste di Sumatra. Il problema di un sistema simile posizionato nel Mediterraneo è che dovrebbe essere altamente automatizzato. Le ridotte dimensioni del bacino infatti richiedono risposte immediate. Attualmente i dati sismici vengono riportati ai centri di controllo degli tsunami funzionanti (cioè quelli nell'Oceano Pacifico) con circa 15 minuti di ritardo, mentre nel Mediterraneo sarà necessario trasmetterli nello spazio di pochi secondi.
Oggi sia nel Mediterraneo che nell'Oceano Atlantico nordorientale non esistono sistemi di allarme, con l'unica eccezione di un sistema di avviso delle frane nell'Isola di Stromboli. Eppure la regione è stata colpita in passato dagli tsunami: il terremoto di Lisbona del 1755 e il maremoto causato dalla scossa hanno ucciso circa 60 000 persone, nel 1410 avanti Cristo si ritiene che uno tsunami abbia ucciso fino a 100 000 persone nell'antica Grecia, mentre tsunami più piccoli colpiscono le coste della Norvegia.
Il sistema che è in corso di posizionamento a Sumatra prevede 23 stazioni che analizzano il livello del mare in tempo reale, un miglioramento della rete sismica, il posizionamento di boe oceaniche e (cosa però ancora in discussione) il posizionamento di sensori in grado di valutare la pressione oceanica.
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