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Spiegare l'attrito dei pneumatici sul bagnato

Pubblicata su "Nature Materials" di dicembre una ricerca italo-tedesca che mette in rilievo un nuovo principio fisico.

Guidare quando piove è pericoloso. Ma capire quali principi fisici stiano alla base della perdita d'aderenza e dello slittamento del pneumatico sul bagnato non è affatto banale. C'è riuscito un gruppo di scienziati tedeschi e italiani, tra cui due ricercatori della SISSA di Trieste, che nel numero di "Nature Materials" uscito on-line lo scorso 7 novembre spiegano il meccanismo della perdita d'attrito sull'asfalto bagnato, elemento fondamentale per la sicurezza nella guida e probabilmente per l'evoluzione futura di tecnologie come quelle impiegate in Formula 1.

In realtà, ciò che succede su strade molto allagate con velocità superiori ai 60 km/h era già chiaro in precedenza: in questo caso la pressione del pneumatico non è sufficiente a far schizzare via il velo d'acqua dall'asfalto e si verifica il famigerato fenomeno dell'acquaplaning, lo scivolamento incontrollato dell'auto sulla pozzanghera.

Ma a basse velocità e in presenza di poca acqua sul manto asfaltato le cose sono un po' diverse ed è proprio questo aspetto che è stato preso in considerazione nella ricerca. "Ciò che si credeva è che a basse velocità la perdita d'attrito sul bagnato fosse dovuta a una riduzione dell'adesione del pneumatico all'asfalto, come se l'acqua fungesse da lubrificante. Mentre questo è vero per l'olio, che essendo viscoso non può essere spremuto via, è un pregiudizio ingiustificato per l'acqua che lo è molto meno" dice Erio Tosatti, uno degli scienziati della SISSA, oltre che del Centro Internazionale di Fisica Teorica e del Centro Democritos di Trieste.

La rugosità del manto stradale produce attrito poiché la gomma penetrando dentro le asperità della superficie stradale subisce una deformazione che si propaga al suo interno. Dato che la gomma è viscoelastica, l'energia spesa per provocare le oscillazioni dentro il pneumatico si dissipa in calore, e ciò si traduce in attrito. Ed è solo grazie a questo meccanismo di smorzamento "profondo" che lo si può calcolare, conoscendo la funzione di risposta interna della ruota. Il calcolo funziona benissimo quando la strada è perfettamente asciutta e per l'industria ciò è molto importante perché permette di trovare migliori soluzioni di stabilità e d'efficienza per pneumatici e asfalti.

Ma cosa succede quando piove? La rugosità effettiva dell'asfalto si riduce: l'acqua si raccoglie in tante piccole pozzanghere di diverse ampiezze, determinate dalla conformazione del fondo stradale che visto al microscopio quando è asciutto presenta un profilo formato da picchi e asperità su tutte le scale di lunghezza, dal centimetro al micron. In alcuni di questi laghetti il pneumatico non riesce a penetrare perché la gomma fa da sigillo e l'acqua non riesce a uscire. Il risultato è che la rugosità si annulla su tutta l'area della micro-pozzanghera, e con questa la stabilità della gomma in quel punto.

"Per questo motivo è necessario calcolare il profilo di rugosità", precisa Tosatti "A partire dallo spettro misurato delle asperità si può calcolare l'allisciamento creato dall'acqua e di conseguenza prevedere la riduzione d'attrito. Digitalizzando al computer lo spettro dell'asfalto e poi riempiendo teoricamente tutte le micro-pozzanghere abbiamo ottenuto una superficie meno rugosa. In questo modo è facile calcolare il coefficiente d'attrito della gomma sul bagnato e confrontarlo con quello asciutto in funzione della velocità. Il grosso risultato è che questo calcolo mostra senza ambiguità una perdita d'attrito sul bagnato pari al 20-30%, valore perfettamente uguale al dato empirico e sperimentale, e soprattutto spiega il perché del fenomeno".
Adesso la palla passa a ulteriori studi sperimentali che dovranno verificare il meccanismo di sigillo delle micro-pozzanghere; successivamente toccherà agli ingegneri pensare a nuove soluzioni per progettare pneumatici e strade più sicuri.

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