La scoperta di cellule staminali embrionali nei topi molto simili a quelle umane potrebbe segnare un grande passo avanti nello studio delle terapie genetiche.
La scoperta nei topi di cellule staminali embrionali quasi perfettamente ugali a quelle umane potrebbe segnare una svolta nelle ricerche di medicina rigenerativa, e velocizzare lo studio di trattamenti per malattie come il Parkinson e il diabete.
Nei topi, le cellule staminali embrionali (ovvero cellule non specializzate che possono trasformarsi in qualunque altro tipo di cellula del corpo) vengono solitamente estratte in una fase molto iniziale della vita degli embrioni, quella in cui vengono chiamati blastocisti. Queste cellule sono molto differenti da quelle umane, e per questo si è sempre pensato che non avessero grande importanza per la ricerca.
Roger Pedersen dell'Università di Cambridge, in Gran Bretagna, insieme ai colleghi è riuscito a estrarre cellule staminali dagli embrioni dei topi che si trovavano in uno stato di sviluppo leggermente più avanzato, ovvero nella fase in cui vengono chiamati epiblasti.
In questo modo hanno scoperto che le cellule staminali in fase di epiblasti, estratte dallo strato più interno degli embrioni dei roditori a una settimana dalla loro formazione, presentano moltissime proprietà in comune con le cellule staminali embrionali umane. La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Nature.
“Quelle che abbiamo trovato sono il collegamento mancante tra le cellule staminali embrionali dell'uomo e del topo, che si stava cercando da tempo", spiega Roger Pedersen, il ricercatore che ha condotto lo studio.
Le nuove cellule sono importanti perchè potranno constituire un campione migliore dove verificare e testare le potenziali terapie per malattie e lesioni umane. Un altro gruppo di ricercatori, guidato da Richard Gardner dell'Università di Oxford, sempre in Gran Bretagna, ha recentemente annunciato di aver raggiunto risultati simili.
Entrambi gli studi sono stati accolti da molti scienziati come un importante passo avanti che sarà fondamentale per far luce sull'origine delle cellule staminali embrionali umane, e soprattutto per contribuire a realizzare le grandi promesse delle terapie genetiche.
Le cellule adulte estratte dal midollo osseo umano vengono attualmente già utilizzate nel trattamento della leucemia, e vari esperimenti dimostrano che le cellule staminali potrebbero essere utilizzate nei trattamenti di numerose altre malattie, tra cui l'Alzheimer e paralisi causate da danni alla spina d'orsale.
Gli scienziati da decine di anni sono in grado di sviluppare linee di cellule staminali embrionali dei topi, e a partire dalla fine degli anni '90 anche di quelle umane.
Finora, però, le cellule staminali umane e quelle dei topi non sembravano avere molto in comune: si comportavano infatti molto diversamente, limitando i punti in comune che potevano essere individuati tra le due specie e sollevando varie questioni sui motivi di questa divergenza.
"Avevamo molte perplessità", spiega Roger Pedersen. “Non capivamo se la causa fosse nella divergenza evolutiva tra topi e uomini, o se ci fosse una spiegazione che riguardasse fasi differenti di sviluppo".
Proprio questo dubbio ha stimolato Pedersen e i suoi colleghi a sfidare la conoscenza convenzionale e tentare di scoprire se le condizioni biochimiche utilizzate per ottenere le cellule staminali embrionali umane potessero funzionare anche per i topi.
In passato, alcuni altri tentativi simili non avevano avuto successo. La chiave di volta si è avuta solo quando i ricercatori hanno utilizzato, in una fase successiva di evoluzione dell'embrione del topo, il cocktail molecolare usato specificamente negli umani. La nuova tecnica ha inaspettatamente funzionato.
“Le analisi comparative dimostrano che queste nuove cellule hanno molto più in comune con le cellule staminali embrionali umane, rispetto a quelle estratte in fasi anteriori del ciclo di vita dell'embrione dei topi", spiega il biologo Ian Chambers, dell'Università di Edinburgh, che svolge ricerche sulle cellule staminali.
Molti sceinziati hanno accolto con gioia la nuova scoperta, come Kevin Eggan, dell'Harvard Stem Cell Institute, negli Stati Uniti, che ha affermato che “potrebbe essere una svolta importante per fare luce sul significato e sull'origine delle cellule staminali embrionali".
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