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Serguey Petcov

Serguey Petckov

Piccoli, bizzarri e nascosti

Serguey Petcov è professore alla SISSA nel settore di Fisica della particelle elementari. Lavora a Trieste dal 1990 nel campo della fisica delle astroparticelle, una scienza di frontiera tra la fisica delle particelle elementari e l'astrofisica e la cosmologia. Le sue ricerche riguardano in particolare uno dei temi scientifici più affascinati e dibattuti di questo secolo, la fisica del neutrino.

20 maggio 2005
Ilenia Picardi

Professor Petcov perché si parla del neutrino come di una "particella fantasma"?

Sin dal 1930 quando il fisico teorico Wolfgang Pauli ipotizzò l'esistenza di questa particella, gli scienziati si sono dati un gran da fare per capire quali fossero le sue caratteristiche. Il neutrino è una particella bizzarra, che ama nascondersi rendendosi invisibile; in termini fisici questo significa che ha una massa piccolissima, è priva di carica e che interagisce con la materia solo attraverso l'interazione debole, quindi molto raramente. Per queste sue peculiarità si tratta di una particella difficile da "vedere" con i nostri apparati sperimentali. Tutto questo fa, ancora oggi, della fisica del neutrino uno campo di ricerca più vivaci.

Qual è la sua origine?

Esistono diversi tipi di neutrino con provenienze differenti. I neutrini solari sono prodotti nelle reazione nucleari in zone interne al Sole dove la temperatura raggiunge circa quindici milioni di gradi. Qui, sulla Terra, siamo quotidianamente immersi in una tempesta di neutrini che provengono dal Sole: basti pensare che una superficie pari a quella dell'unghia del nostro pollice ogni secondo è attraversato da dieci miliardi di queste particelle.
Esistono poi i neutrini da supernova; sono particelle espulse durante la morte di una stella; si calcola che costituiscono il 99% dell'energia emessa durante l'esplosione. Questo significa che l'enorme bagliore, la radiazione a noi visibile, osservata in corrispondenza di un fenomeno di supernova, è solo l'1%; si può immaginare cosa potremmo osservare se i neutrini fossero visibili come la luce. Solo in alcune occasioni i neutrini da supernova sono stati osservati e registrati, come nel caso dell'esplosione della supernova 1984A; si tratta comunque di pochi eventi: circa una ventina in tutto. Parte della ricerca è poi indirizzata verso lo studio dei neutrini atmosferici: sono particelle prodotte quando raggi cosmici di elevatissima energia interagiscono con l'atmosfera del nostro pianeta. Questa è infatti continuamente attraversata da particelle provenienti da oggetti lontani nel cosmo, per esempio protoni prodotti nelle vicinanze di giganteschi buchi neri che viaggiano nell'Universo; nell'urto con le molecole della nostra atmosfera producono altre particelle tra cui i neutrini.
Ci sono poi i neutrini primordiali, un fondo di particelle diffuse in tutto lo spazio alcuni istanti dopo il big bang. Sono particelle di energia molto bassa, un miliardo di volte più piccola di quella dei neutrini emessi dal Sole, il che rende, almeno per ora, impossibile la loro rivelazione. è una situazione un po' paradossale: gli scienziati sanno di essere immersi in questo mare di particelle fossili — ce ne sono circa 300 in ogni centimetro cubico — ma non possono vederle.
Infine ci sono neutrini prodotti artificialmente dall'uomo durante reazioni nucleari nei reattori.

Perché ci si affanna tanto nella ricerca di particelle così difficili da rivelare?

I neutrini, proprio per la loro capacità di attraversare indisturbati la materia per chilometri e chilometri senza interagire con questa, sono importanti messaggeri. Una volta emessi viaggiano nell'Universo portando con loro informazioni su eventi cosmici. Non hanno una destinazione precisa e non si fermano mai. Solo chi riesce a "catturarli" potrà leggere i segreti che portano dall'Universo primordiale, dalle prossimità di un buco nero, dall'interno del Sole. In tutti questi casi non è possibile immaginare delle esplorazioni dirette; di conseguenza le uniche informazioni disponibili provengono dall'analisi delle particelle lì prodotte.
Esperimenti di fisica del neutrino sono iniziati già alla fine degli anni Sessanta. Il primo a pensare a un metodo per la loro rivelazione è stato Raymond Davis, un chimico che nel 2002, per le sue ricerche nell'astronomia dei neutrini, ha vinto il premio Nobel per la fisica. In effetti oltre a grandi meriti scientifici, bisogna riconoscere a Davis anche una buona dose di pazienza: dopo aver proposto nel 1964 un metodo per la rivelazione dei neutrini, ha lavorato per più di trent'anni su questo esperimento riuscendo in tutto a registrare solo 800 eventi. Dagli anni Sessanta a oggi si sono susseguiti molti esperimenti sui neutrini solari, atmosferici e neutrini da reattore, ognuno con tecnologie e apparati sempre più sofisticati. Uno di questi, SNO (Sudbury Neutrino Observatory), ha significato un momento molto importante per la fisica: ha infatti messo fine a un annoso e acceso dibattito, risolvendo una questione nota alla comunità scientifica come il problema del neutrino solare.

Di che si tratta?

Già dai risultati dei primi esperimenti di Davis emergeva un'incongruenza tra i dati sperimentali e i valori predetti dai modelli teorici: i neutrini contati sulla Terra erano infatti molto meno di quelli previsti dalla teoria del cosiddetto modello solare standard, circa un terzo in meno. Si iniziò dunque a ipotizzare che gli astrofisici avevano un modello per la descrizione del Sole sbagliato o, almeno, non completamente esatto. Gli esperimenti che seguirono (tra cui KAMIOKANDE in Giappone, SAGE nel laboratorio russo Baksan, GALLEX sul Gran Sasso, e infine SUPERKAMIOKANDE) confermarono questa mancanza di particelle. Problema analogo poi venne rivelato per i neutrini atmosferici: anche qui era registrato un deficit di particelle, circa la metà, di quelle previsti dalla teoria. Ma oggi, grazie ai risultati di SNO, tutto quadra: è chiaro che né il modello solare né i modelli che descrivono l'interazioni dei raggi cosmici con l'atmosfera sono sbagliati. Per risolvere il problema è stato sufficiente inserire nella teoria delle particelle elementari un ingrediente mancante: la massa del neutrino. Inizialmente infatti si pensava che questa particella fosse, come il fotone, priva di massa; ma se si ipotizza invece che il neutrino abbia una massa molto piccola, ma non nulla, la teoria prevede un fenomeno che noto come oscillazione. Con questo termine i fisici identificano una stana proprietà: una "crisi d'identità" che la particella vive nel suo viaggio. Nel modello standard esistono, infatti, tre famiglie di particelle elementari, ognuna caratterizzata dalla presenza di un leptone, un neutrino e due quark. Ai tre leptoni (rispettivamente un elettrone, un muone, e una particella tau) corrispondono tre differenti stati del neutrino: il neutrino elettronico νe, il neutrino muonico νμ, e il neutrino tau ντ. Gli esprimenti hanno dimostrato che un neutrino nel suo viaggio all'interno del Sole può oscillare da uno stato a un altro. Ecco perché per anni i conti non tornavano.

Quali sono oggi gli esperimenti in cantiere?

Molti esprimenti come SNO continuano a effettuare misure più precise dei parametri fisici in questione. Ora che è chiaro che il neutrino ha massa, dobbiamo capire qual è il valore di questa quantità. Per il momento abbiamo solo dei limiti superiori, ossia sappiamo che il valore delle masse dei neutrini non può superare una certa soglia, ma non sappiamo altro. Si continuano ricerche su neutrini prodotti in differenti reazioni. In Giappone, per esempio KamLand sta misurando il flusso di antineutrini da reattori; mentre Borexino, al Gran Sasso, consentirà di misurare il flusso dei neutrini prodotti dal berillio. Alla SISSA lavoriamo allo studio di processi che saranno analizzati al Gran Sasso da esperimenti come CUORICINO. I nostri calcoli teorici potranno suggerire agli sperimentali utili indicazioni nella rivelazione di questa affascinante particella che ancora oggi nasconde molti misteri.

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