Matteo Bertolini è ricercatore nel Settore di Fisica delle Particelle Elementari della SISSA di Trieste. Recentemente (dicembre 2005) ha vinto il premio "Le Scienze" dedicato a giovani ricercatori di valore internazionale.
Il suo specifico campo di ricerca è la teoria della stringhe. Quali fenomeni fisici studia la teoria delle stringhe?
La teoria delle stringhe è una teoria che cerca di descrivere in maniera unificata e consistente tra loro le diverse interazioni tra i costituenti fondamentali della materia, le particelle elementari. Ma cosa vuol dire unificare, e perchè è importante farlo? Per rispondere a questa domanda devo fare qualche passo indietro.
Le interazioni fondamentali tra le particelle, in natura, sono quattro: l'interazione gravitazionale, che tutti ben conosciamo, quella elettromagnetica, e altre due, dette debole e forte, che sono interazioni nucleari. Di queste ultime due non abbiamo ovviamente una esperienza diretta nella quotidianità. Mostrano però tutta la loro importanza quando si cerca di capire, per esempio, cosa succede nei nuclei atomici.
La fisica teorica usa la matematica per descrivere le leggi della natura. Lo strumento matematico con cui gran parte della fisica moderna viene formulata è la teoria quantistica dei campi. Ora, esiste una particolare teoria quantistica dei campi, nella classe delle cosidette teorie di gauge, che consente di descrivere correttamente tre delle quattro interazioni fondamentali: debole, forte ed elettromagnetica. Questa teoria va sotto il nome di modello standard.
Sfortunatamente la gravità sembra eludere una descrizione quantisticamente consistente nell'ambito della teoria dei campi. Per capirci, la relatività generale, formulata da Einstein, è una teoria classica, basata cioè sui principi della meccanica classica, non della meccanica quantistica. Ciò, in generale, non costituisce un problema. Sappiamo che la gravità si comporta classicamente - nel senso che i suoi effetti quantistici sono deboli - non solo su scale macroscopiche ma anche fino a distanze molto molto piccole. Per dare dei numeri, basti pensare che le distanze a cui la fisica delle interazioni elettromagnetiche, deboli e forti viene ben descritta dal Modello Standard sono distanze cento volte più piccole delle dimensioni tipiche di un nucleo atomico. Un numero estremamente piccolo! Piccolo, ma non abbastanza. Infatti, a queste scale, nello studiare l'interazione tra quark, elettroni, positroni, neutrini, e quant'altro il contributo della gravità si può ancora completamente ignorare. E' solo a distanze molto più piccole - ben sedici ordini di grandezza più piccole! - che ci si aspetta diventino rilevanti i suoi comportamenti quantistici. In sostanza, ci si aspetta che solo a queste scale microscopiche la gravità, nel descrivere la dinamica delle particelle elementari, debba diventare comparabile con le altre interazioni. Perchè preoccuparcene, allora? Incredibilmente, le ragioni sono molteplici. La più evidente è che l'Universo, così come appare oggi - la sua struttura, le sue proprietà fisiche ecc. - dipende fortemente da come funzionarono le cose durante i primi istanti dopo il Big Bang; e quel che si crede è che allora le quattro interazioni fossero effettivamente tutte egualmente importanti. Diventa quindi evidente l'esigenza di capire quale debba essere il modo corretto per descrivere un regime in cui le quattro interazioni, debole, forte, elettromagnetica e gravitazionale, siano unificate.
A questo proposito, vorrei fare una breve parentesi storica. L'idea di unificare le forze nasce da molto lontano. Descrivere le diverse interazioni esistenti in natura in modo unificato è un fatto ricorrente nella fisica teorica, e direi che, nella sua forma moderna, è qualcosa che ha le sue radici concettuali già nell'Ottocento. Allora è nata l'unificazione tra la relatività ristretta e l'elettromagnetismo. Parallelamente, ai primi del Novecento, grazie ad Einstein, la gravità è stata unificata con la relatività, dando luogo alla Relatività Generale. Negli anni quaranta, dopo l'avvento della meccanica quantistica, è nata la QED (Quantum Electro Dynamics), l'elettrodinamica quantistica, che ha unificato la relatività ristretta e l'elettromagnetismo con, appunto, la meccanica quantistica. Negli anni Settanta infine il Modello Standard ha incluso anche le interazioni deboli e successivamente quelle forti, dando vita a un modello quantisticamente consistente (e dal punto di vista sperimentale ottimamente testato) di tre delle quattro interazioni: elettromagnetica, debole e forte.
A questo schema di unificazione manca la gravità, di cui si è capito da tempo non è possibile dare una descrizione quantistica nell'ambito della teoria di campo. Ed è qui che entra in scena la teoria delle stringhe, con cui si riesce a descrivere in maniera unificata tutte e quattro le interazioni fondamentali, superando in qualche modo i limiti della teoria di campo. Vorrei sottolineare, però, che la teoria di stringa non è in contraddizione con la teoria di campo. Ne è in un certo senso una sua naturale estensione - e ad essa si riduce quando si osservano le cose a distanze non troppo piccole, per così dire - ma permette però di risolvere quelle singolarità, quelle inconsistenze, che si incontrano quando si tenta di dare della gravità una descrizione quantistica nell'ambito della solo teoria di campo.
Ma a che prezzo?
In una teoria di campo gli oggetti fondamentali sono le particelle, che vengono idealmente considerate come puntiformi. Nella teoria delle stringhe, invece, gli oggetti fondamentali non sono particelle, ma bensì stringhe, cioè degli enti estesi uni-dimensionali le cui eccitazioni generano i vari tipi di particelle. È un po' come per le differenti note musicali, che sono prodotte dai diversi modi vibrazionali delle corde di un violino. La musica delle stringhe sono le particelle. In un certo senso, una stringa contiene in sé tante particelle di massa e spin diversi.
Ma c'è un altro prezzo da pagare, prezzo che a prima vista può sembrare ancor più alto. Noi viviamo in un mondo quadridimensionale, dato dalle tre dimensioni spaziali e dal tempo. Il modello standard è una teoria dei campi definita in questo spazio quadridimensionale. Si è scoperto invece che la teoria delle stringhe è quantisticamente consistente solo in dieci dimensioni. Potrei dire anche in unidci, ma è inutile, in questo contesto, complicare con tecnicismi il discorso.
Perché tante dimensioni? Come è possibile avere 10 dimensioni?
L'idea di base, in sostanza, è che noi osserviamo i fenomeni che avvengono nell'Universo con una risoluzione spaziale tale da non riuscire ad apprezzare queste dimensioni extra. Queste dimensioni sono cioè così piccole che non possiamo vederle. Quando riuscissimo a migliorare sufficientemente i nostri microscopi - che in quest'ambito altro non sono che i moderni acceleratori di particelle - dovremmo accorgerci di queste nuove dimensioni.
Si può provare a immaginare di avere una striscia di carta molto lunga, diciamo qualche chilometro, ma larga appena un centimetro. Da vicino quest'oggetto ci appare ovviamente bi-dimensionale, ma osservandolo da lontano a un certo punto il nostro occhio non riuscirebbe più ad apprezzarne la seconda dimensione, e vedremmo la sua sola lunghezza, quindi un oggetto filiforme a una sola dimensione. È un esempio intuitivo per esprimere un concetto complesso, e cioè che noi non vediamo queste dimensioni extra semplicemente perché non riusciamo a risolvere certe distanze.
Le dimensioni in più servono per far funzionare la teoria?
Sì, per renderla consistente. Ma, ripeto, tutto poi si riduce a qualcosa di quadridimensionale, grazie a un meccanismo che si chiama compattificazione, secondo cui sei di queste dieci dimensioni sono compatte, cioè chiuse e arrotolate, come se formassero dei cerchietti, e molto piccole.
La compattificazione è un processo fisico oppure è un puro concetto matematico? Alcune dimensioni si "arrotolano" realmente su sé stesse, compattificandosi per certi valori delle energie?
La compattificazione è un processo assolutamente fisico. Come ho detto, si deve immaginare il nostro Universo come fatto da uno spazio quadridimensionale, lo spazio di Minkowski, e da sei dimensioni compatte e molto piccole, che noi non osserviamo direttamente, almeno alle distanze che siamo capaci di risolvere negli attuali acceleratori.
È naturale chiedersi come si faccia a rilevare, a livello sperimentale, l'esistenza di queste dimensioni extra. Grazie anche ai progressi teorici degli ultimi dieci anni nella teoria delle stringhe, si è arrivati a pensare esperimenti, da sviluppare con i futuri acceleratori di particelle, come LHC del CERN di Ginevra, in grado di far emergere, a livello quadridimensionale, il ricordo, la segnatura, più precisamente, di queste dimensioni compatte. Detta in due parole, le dimensioni in più si manifesterebbero attraverso l'improvvisa produzione, a certe scale, di tantissime particelle, diverse da quelle note e con masse che seguono una precisa regola legata alla lunghezza tipica di queste dimensioni compatte.
La teoria di stringhe studia tutte queste cose, e ha la pretesa di essere la teoria corretta per descrivere in maniera unificata le quattro interazioni. Quindi, in principio, dovrebbe spiegare tutti quegli aspetti che non si comprendono nella fisica delle alte energie.
Curiosamente questa teoria è nata in tutt'altro contesto, alla fine degli anni Sessanta. Si è poi evoluta, passando da periodi di estrema calma a improvvise accelerazioni. Uno degli ultimi progressi di grande rilievo è quello che va sotto il nome di second string revolution, la seconda rivoluzione delle stringhe, avvenuta a metà degli anni Novanta. Questi progressi hanno fatto capire meglio la struttura della teoria e, pur essendo risultati teorici di natura estremamente concettuale, hanno permesso, improvvisamente, di far emergere dei collegamenti con realtà fisiche che si possono effettivamente osservare e proporre possibili soluzioni a una serie di problemi concettuali, nell'ambito della fisica delle particelle e della gravità, che stavano sul tappeto da molto tempo. Per citare alcuni esempi: è stato possibile dare per la prima volta un'interpretazione statistica e quantisticamente consistente dell'entropia dei buchi neri, problema aperto nella comunità scientifica da oltre trent'anni; sono stati forniti nuovi modelli per descrivere la fisica delle particelle oltre il modello standard, a scale di distanza intermedie tra quelle tipiche delle tre interazioni fondamentali e la gravità (proprio introducendo dimensioni extra, tra l'altro); sono nate nuove idee in ambito di possibili modelli cosmologici e di inflazione; e tanto altro ancora. Per usare una terminologia correnta, la second string revolution ha prodotto molti spin-off.
Tutto questo ha inoltre permesso, ed è molto bello secondo me, un rinnovato scambio e incontro tra gli "stringhisti" e gli altri fisici delle particelle. Per capirci, i fisici sperimentali, per i quali negli anni Settanta e Ottanta la teoria delle stringhe sembrava solo qualcosa di puramente astratto e matematico, ora elaborano esperimenti per tentare di osservare effetti di stringa nei futuri acceleratori. Se si va al CERN e si parla con loro o con i fisici teorici fenomenologi, tutti mostrano interesse per la teoria, per le sue possibili applicazioni e i suoi sviluppi. Dieci anni fa questa commistione era impensabile.
Negli anni Sessanta la teoria delle stringhe era nata per studiare le sole interazioni forti e ben presto si arenò. Da questo punto di vista la QCD, la cromodinamica quantistica, cioè la teoria di gauge delle interazioni forti, si rivelò al contrario più corretta ed efficace. A distanza di trent'anni, la situazione è cambiata?
Questa domanda mi dà lo spunto per agganciarmi a quello che è il mio prevalente campo di ricerca, oggi. Come ha detto, la teoria delle stringhe nacque senza alcuna pretesa di descrivere l'unificazione delle forze fondamentali. Più modestamente, era un modello teorico per tentare di spiegare alcune proprietà delle interazioni forti in regime di forte accoppiamento, proprietà che si osservano sperimentalmente ma la cui origine era sconosciuta. La storia si è poi evoluta, è nata la QCD (Quantum Cromo Dynamics), la cromodinamica quantistica, che ha avuto molto successo, e si capì che le cose erano più complesse di quanto si pensasse. Quei pochi fisici che hanno continuato, ostinatamente, a occuparsi di teoria della stringhe si sono improvvisamente accorti che la teoria possedeva dentro di sé anche la gravità, qualcosa che a priori sembrava completamente scorrelato! Fu l'inizio della teoria delle stringhe come possibile e autorevole candidato per una teoria unificata di tutte le interazioni fondamentali.
Ebbene, curiosamente, grazie proprio a questi recenti progressi, si è ora capito quale debba essere la strada da percorrere per descrivere - proprio con una teoria di stringa - quei regimi di accoppiamento forte delle teorie di gauge, come la QCD, in cui l'approccio perturbativo funziona male. La cromodinamica, che è una teoria di campo, basa i suoi calcoli sul metodo perturbativo. Significa studiare le cose con successivi gradi di approssimazione, supponendo che le perturbazioni di una determinata situazione fisica iniziale, siano molto deboli. Questo va bene fin tanto che le correzioni quantistiche sono deboli; perturbative, appunto. Ma le interazione forti hanno la proprietà di diventare molto intense a grandi scale - e presentano, in questi regimi, comportamenti molto strani. Ciò significa che non si possono più usare gli strumenti perturbativi, e se ne devono trovare degli altri. Oggi la teoria delle stringhe è riuscita, per la prima volta, a fornire di alcune, particolari, teorie di gauge - un po' diverse dalla QCD, come cercherò di spiegare dopo - una descrizione in termini di stringhe. Descrizione che ben si adatta a descriverne le proprietà di accoppiamento forte a cui accennavo prima! Questo è un passo fondamentale. Il passo ulteriore che si sta tentando di compiere è quello di estendere questo risultato alla QCD o a teorie il più possibili simili ad essa.
Oggi la teoria delle stringhe vuole recuperare parte della fisica indagata dalla cromodinamica. Storicamente però la QCD si è affermata negli anni Settanta come la teoria di riferimento per le interazioni forti, proprio a discapito della nascente teoria delle stringhe. Ma paradossalmente, se così non fosse avvenuto, e cioè se i fisici avessero continuato a fare teoria delle stringhe in quegli anni, forse oggi avremmo ottenuto in ogni caso gli stessi risultati prodotti dalla QCD? E' possibile quindi dire che la scelta di investire in una teoria piuttosto che in un'altra, è un problema che ha una dimensione storica complessa, che va al di là dei puri contenuti teorici, matematici e sperimentali?
Io penso che i progressi in fisica richiedano il loro tempo e siano anche figli del mondo che c'è intorno. Sapere che le interazioni forti sono ben descritte dalla QCD, almeno a piccole scale, cioè in regimi di accoppiamento debole, è stato di fondamentale aiuto per capire come, attraverso la teoria di stringa, si poteva darne una descrizione anche a grandi scale, cioè in regimi di forte accoppiamento. Penso che non sarebbe stato possibile il contrario. Il fatto di sapere che le teorie di gauge siano descritte da un certo gruppo di simmetria locale, che ci sono particelle fondamentali come i quark, che esistono dei mediatori dell'interazione che sono i gluoni ecc. è cruciale. Se tutto ciò non si fosse saputo, se la QCD non fosse mai nata, diciamo, credo che questi recenti progressi non sarebbero stati possibili. Insomma, suppongo che non sarebbe stato possibile un passaggio concettuale inverso rispetto a quello che è avvenuto storicamente.
Come si concilia la teoria delle stringhe con le teorie di gauge e in particolare con la QCD?
Innanzitutto, come ho cercato di spiegare, la teoria di stringa descrive tutte le interazioni fondamentali. Quindi contiene in sè, automaticamente, per così dire, anche le teorie di gauge. Ma, per concludere il discorso, vorrei aprire una breve parentesi. Un modo per estendere, almeno a livello matematico, i modelli di teoria di campo noti è quello di introdurre una nuova simmetria, la supersimmetria. Questa simmetria prevede che a ciascuna particella di tipo fermionico (come lo sono i costituenti della materia, per esempio i protoni e gli elettroni) debba corrispondere un partner supersimmetrico di tipo bosonico (i bosoni sono quelle particelle responsabili delle forze, i cosiddetti mediatori delle interazioni, come per esempio i fotoni o i gluoni), e viceversa. Vi è quindi la possibilità di costruire teorie di gauge che siano anche supersimmetriche, in generale con un numero N di queste supersimmetrie.
Alla fine degli anni Novanta si è capito che esisteva una corrispondenza, una equivalenza vera e propria, tra una particolare teoria di gauge supersimmetrica quadridimensionale e una particolare teoria di stringa, definita in un opportuno spazio dieci-dimensionale. Questa corrispondenza, conosciuta come la congettura di Maldacena, dal nome dell'autore che l'ha proposta, è anche nota con l'abbreviazione AdS/CFT (Anti de Sitter/Conformal Field Theory).
La teoria supersimmetrica a cui questa teoria di stringa è equivalente è una teoria di gauge con supersimmetria N=4. Questa teoria non è la QCD. Quest'ultima infatti non è supersimmetrica (diremo quindi N=0). Inoltre, fatto ancor più importante, la dinamica della teoria di gauge N=4 è molto più semplice di quella delle interazioni forti. E' infatti una teoria conforme, cioè la sua dinamica è sostanzialmente la stessa a ogni scala. Al contrario, l'interazione forte, come ho già detto, è molto diversa: la sua intensità cambia molto al variare della scala e inoltre la sua dinamica risulta molto diversa quando la costante di accoppiamento è piccola o grande.
Negli anni successivi, e qui arriviamo nello specifico del mio campo di ricerca, si è cercato di capire se questa congettura possa essere estesa per consentire di descrivere con una opportuna teoria di stringa, diversa, diremo dalla precedente, il regime di accoppiamento forte di una teoria di gauge non supersimmetrica, come per esempio la QCD.
In un certo senso si è tornati all'idea originaria, cioè quella di cercare di descrivere il regime di accoppiamento forte delle interazioni forti usando la stringa!
Per realizzare questo obiettivo, in particolare arrivare a descrivere una teoria di gauge non conforme e senza supersimmetrie, bisogna capire come deformare la teoria di stringa corrispondente. Il primo passo, quello per arrivare a descrivere una teoria non conforme, non è stato difficile. Si è anche capito come fare a ottenere una teoria di stringhe che descriva teorie con minori supersimmetrie: N=2 o N=1; si è capito cioè come diminuire le supersimmetrie. E la nuova corrispondenza sembra funzionare molto bene. Purtroppo, però, per il momento ci si è dovuti fermare a teorie con supersimmetria N=1. Queste condividono molte proprietà fisiche con le interazioni forti, specialmente nel misterioso regime di forte accoppiamento. L'ultimo passaggio, però, quello che ci consentirebbe di passare da N=1 a N=0, e quindi alla QCD vera e propria, non è stato ancora fatto ed è, sicuramente, quello più difficile.
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