Il Consiglio di Bioetica britannico si oppone alla creazione di una banca del Dna universale perché limiterebbe le libertà personali e tratterebbe tutti come potenziali criminali.
Immaginate di essere dei possibili sospettati per ogni crimine commessi nel vostro paese. Questa sarebbe una prospettiva assai attendibile se il Dna di tutti i cittadini di un determinato paese fosse registrato in una banca dati di proprietà della polizia. Almeno secondo il rapporto pubblicato questa settimana dal Consiglio di Bioetica di Nuffield, organo di consulenza del governo britannico.
“Tratta tutti i cittadini come potenziali sospetti – dichiara Carole McCartney, project manager del rapporto e professoressa all’Università di Leeds – invece che come persone di spirito e buona volontà”.
Anche se questa politica potrebbe risolvere più casi di crimine, secondo il rapporto ci sarebbe una sproporzionata perdita delle libertà personali, dell’autonomia e della privacy.
La banca dati inglese è già la più grande del mondo con ben 3 milioni e 400 mila file, praticamente il 6 per cento della popolazione, mentre i corrispettivi degli altri paesi europei, ma anche degli Stati Uniti, arrivano a malapena allo 0,5 per cento.
Il rapporto suggerisce, poi, che invece di immagazzinare dati su tutta la popolazione, inclusi gli individui innocenti, la banca dati britannica dovrebbe registrare soltanto il Dna di criminali giudicati colpevoli o di coloro che sono stati accusati di violenze serie o sessuali.
Ma all’inizio di settembre il governo inglese ha affermato che “non ci sono piani in atto per introdurre una banca dati universale, sia essa obbligatoria o volontaria”.
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