Un'altra ragione per temere la guerra: mette a grave rischio la conservazione della natura
Tra il 1950 e il 2000 l’80% dei maggiori conflitti armati hanno avuto luogo in uno dei 34 punti caldi per la biodiversità, censiti come tali dall’associazione Conservation International perché ospitano la metà delle specie vegetali del pianeta e almeno il 42% dei vertebrati.
Questo il risultato di uno studio pubblicato a febbraio su Conservation Biology ad opera di un gruppo di ricerca internazionale.
La guerra mette a grave rischio l'integrità di questi santuari naturali in molti modi. Non solo il passaggio delle truppe e gli scontri a fuoco distruggono la vegetazione e sconvolgono l’habitat degli animali, in alcuni casi vengono usate sostanze dannose per l’uomo e per l’ambiente, come è accaduto durante la guerra del Vietnam, quando il famigerato agente Arancio, un erbicida teratogeno e cancegoreno perché produce diossina, ha gravemente danneggiato la salute della popolazione e ha anche distrutto secolari foreste di magrovie.
Inoltre la guerra, come è accaduto in molti conflitti africani, produce migliaia di rifugiati, che per sopravvivere sono costretti a tagliare in modo incontrollato le foreste per costruirsi un riparo, o a cacciare specie anche protette, senza che ci sia equilibrio tra il numero dei cacciatori e quello delle prede. Il bracconaggio di guerra può così decimare completamente popolazioni animali già a rischio, come è accaduto per gli ippopotami del Parco nazionale del Virunga nella Repubblica del Congo, dove il 95% degli animali sono stati abbatuti.
Poiché i punti caldi della biodiversità sono concentrati nelle aree più funestate da conflitti armati del nostro pianeta, occorre che chi si occupa di conservazione si attivi durante i periodi di guerra, concludono i ricercatori, per includere la protezione della biodiversità nei programmi umanitari e di ricostruzione.
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