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Più latte con un nome

Le mucche “battezzate” sono più produttive di quelle anonime

Una mucca

La “Lola” fa più latte di tutte le povere mucche che non hanno mai avuto un nome: come si legge nella ricerca pubblicata sulla rivista britannica Anthrozoos, interamente dedicata all'interazione fra uomini e animali, gli allevatori che hanno l'usanza di chiamare i loro bovini per nome dichiarano una produzione di latte, nei dieci mesi dell'anno in cui una mucca è produttiva, superiore di ben 258 litri per capo rispetto a quelli che non lo fanno.

In pratica le mucche con un nome producono in media 7,938 litri di latte al giorno contro i 7,680 delle altre, e questo indipendentemente dalle dimensioni della fattoria o della quantità di cibo ricevuto.

Le ragioni di questo fenomeno, secondo Catherine Douglas dell'Università di Newcastle nel Regno Unito, sono poco chiare. Un'ipotesi è che le mucche, animali timidi e paurosi, tendano impaurirsi di fronte agli esseri umani. Quando sono stressate il loro organismo produce maggiori quantità di cortisolo, un ormone che sopprime la produzione di latte. Gli allevatori che trattano i loro animali con maggiore familiarità, dando loro addirittura un nome, le metterebbero maggiormente a loro agio, favorendo cosi la riduzione di cortisolo in circolo nel loro sangue, con il conseguente aumento della produzione giornaliera.

La produzione di latte negli Stati Uniti dal 1990 è aumentata di ben sei volte, e non è solo questione di dare nomi alle mucche. Purtroppo infatti uno dei motivi maggiori alla base di questa crescita è l'uso massivo dell'ormone della crescita da parte degli allevatori che lo iniettano nei loro animali proprio per aumentare la quantità di latte. Fra le altre cause c'è sicuramente anche una selezione maggiore dei capi con caratteristiche favorevoli.

Negli Stati Uniti l'uso di ormone della crescita per l'allevamento delle mucche è legale a differenza che nell’Unione Europea dove invece, in via precauzionale, è vietato. Questo ormone infatti aumenta la frequenza delle mastiti, infezioni alle mammelle delle mucche che devono poi essere trattate con antibiotici - che possono poi anche passare nel latte che noi beviamo -. Le mucche che ricevono questo ormone inoltre, secondo il Centro per la sicurezza alimentare statunitense, mostrano nel sangue livelli elevati del fattore di crescita insulino-simile (IGF1 o somatomedina), che potrebbe essere associato al cancro negli esseri umani.

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