Lo studio servirà a capire gli effetti dei raggi cosmici sull’uomo
Permettere missioni spaziali umane di lunga durata per l'esplorazione e la colonizzazione del sistema solare: questo è l'obiettivo di ALTEA (Anomalous Long Term Effects on Astronauts), lo strumento dell'Agenzia Spaziale Italiana realizzato dalla Laben, e di cui è coordinatore Livio Narici dell’Università di Roma Tor Vergata, che è partito con lo Shuttle Discovery dalla base del Kennedy Space Center, nella missione STS-121 con destinazione la Stazione Spaziale Internazionale.
L'esplorazione umana dello Spazio è uno dei temi fondamentali delle attività spaziali ma è condizionata dai limiti imposti dall’ambiente circostante, che presenta condizioni ostili per il nostro organismo. ALTEA è finalizzato al monitoraggio elettro-fisiologico del sistema nervoso centrale e ai rischi sulla funzionalità cerebrale causati dalle radiazioni cosmiche durante le missioni di lunga durata dell’uomo nello spazio.
Questo fenomeno riportato per la prima volta dagli astronauti duranti i voli Apollo negli anni Settanta, riguarda la visione di flash di luce al buio e in mancanza di una sorgente luminosa e rappresenta l'esempio più evidente dei possibili effetti indotti dalle radiazioni sull'uomo. La presenza di radiazioni nello spazio, non schermate dall'atmosfera terrestre, rappresenta un rischio per gli equipaggi che intendono spingersi per lunghi periodi nell'esplorazione dello spazio e nella colonizzazione di altri pianeti.
Il prossimo lancio dello Shuttle non rappresenta soltanto il ritorno in servizio della navicella statunitense dopo i problemi registrati nella missione di un anno fa, ma potrebbe anche rappresentare un passo importante, grazie allo strumento ALTEA, per il superamento del limite alla permanenza umana nello spazio.
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