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Raggi X hanno plasmato il Sistema solare

Individuati su stelle giovani simili al Sole dei brillamenti solari molto più grandi di quelli che si registrano oggi. Per gli astronomi potrebbero aver influenzato la posizione dei pianeti.

Dati ottenuti dal telescopio spaziale a raggi X Chandra della NASA sembrano indicare che il Sistema solare, alle origini, sia stato plasmato da super brillamenti di raggi X. I dati arrivano dalla nebulosa di Orione: Chandra ha esaminato per 13 giorni consecutivi la nebulosa che si trova a soli 1500 anni luce dalla Terra e contiene circa 1400 giovani stelle in formazione. L'esame ha mostrato che queste stelle, trenta delle quali simili al giovane Sole, producono dei brillamenti assolutamente più grandi e potenti di quelli del nostro astro.

"Non abbiamo la macchina del tempo, ma se anche il nostro Sole in passato si è comportato così, questi brillamenti di raggi X hanno sicuramente influenzato la nascita dei pianeti", ha detto Scott Wolk dell'Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics di Cambridge negli USA. L'ipotesi è che i raggi X così prodotti dovrebbero aver colpito il disco di polveri e materia attorno al Sole da cui si sono poi formati i pianeti.

Secondo i ricercatori, brillamenti molto grandi potrebbero determinare la formazione di pianeti rocciosi a distanza maggiore dal Sole di quanto si avrebbe in loro assenza. Questo accade perché i raggi X, colpendo il disco di polveri, creano delle turbolenze che influenzano la posizione dei pianeti in formazione. In questo modo, i pianeti rimangono più lontani dalla stella e non vengono attirati in un abbraccio mortale dalla gravità dell'astro.

Secondo gli esperti, i brillamenti potrebbero essere considerati una sorta di "programma di protezione" per i pianeti, dal momento che ne impediscono una rapida distruzione. Il bombardamento da raggi X determina l'acquisto di carica elettrica alle particelle che costituiscono il disco o i dischi planetari. La carica elettrica unita al movimento dei dischi e agli effetti dei campi magnetici finisce per creare la turbolenza nei dischi planetari. I risultati della ricerca, e quelli di altri studi sulla nebulosa di Orione verranno pubblicati sulla rivista "The Astrophysical Journal".

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