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Dante descrisse per primo l'invarianza galileiana

Il poeta fiorentino anticipò gli studi di Galileo e anche quelli di Einstein?

Ella sen va notando lenta lenta;
rota e discende, ma non me n'accorgo
se non che al viso e di sotto mi venta.
(Divina Commedia, Inferno, canto XVII).

In queste terzine scritte da Dante Alighieri c'è l'esatta descrizione del principio elaborato da Galileo Galilei (1632) della cosiddetta invarianza galileiana, lo stesso che poi è alla base della teoria della relatività. Si tratta della sensazione che prova un viaggiatore seduto su un treno che non riesce a capire se il treno è effettivamente in movimento.

Almeno questo è quello che sostiene Leonardo Ricci, ricercatore di Fisica generale del Dipartimento di Fisica dell'Università di Trento che ha pubblicato su "Nature" un articolo in cui descrive questa considerazione. "Il principio fisico lo ha sicuramente scoperto Galileo, ma Dante lo ha descritto già nel 1307, quando cioè si presume che abbia iniziato a scrivere la sua Commedia", dice Ricci.

Il riferimento del ricercatore trentino va ad un principio fondamentale della fisica descritto prima da Galileo e poi da Albert Einstein nella sua teoria della relatività. "Nel suo Dialogo sopra i due massimi sistemi, pubblicato nel 1632, — spiega Ricci — Galileo descrive l'esperienza del gran navilio, del passeggero cioè che trovandosi sulla nave non si accorge che questa è in movimento. Questo principio è passato alla storia con il nome di principio di invarianza che porta giustamente il suo nome". La cosa interessante, spiega ancora Ricci sotto il profilo storico e filologico è che più di 300 anni prima, il suo conterraneo Dante Alighieri ebbe un'intuizione di ciò che Galileo avrebbe stabilito come uno dei principi fondamentali della scienza moderna".

L'analisi dello studioso prende le mosse dal XVII canto dell'Inferno in cui Dante, raccontando la sua discesa dal settimo all'ottavo cerchio, immagina di volare a bordo del mostro Gerione. L'osservazione, contenuta ai versi 115-117, racchiude secondo Ricci alcune informazioni preziose agli occhi di un fisico. La descrizione della situazione in cui si trova (l'essere trasportato dalla creatura infernale, il vento, la mancanza di riferimenti visivi) portano Dante a sostenere che la sua sensazione del volo non sarebbe dissimile dall'esser fermo. Un'osservazione in completa sintonia con l'esperimento del gran navilio, con cui Galileo illustra il principio di relatività che oggi porta il suo nome.

"Risulta difficile pensare — commenta Ricci — che quanto descritto sia frutto della casualità: Dante non ha compiuto bensí immaginato intenzionalmente un viaggio, costruendo le varie situazioni e i vari scenari per esprimere direttamente o allegoricamente il proprio messaggio. Nel fare ciò, egli attinse al suo sapere enciclopedico, che comprendeva anche le cosiddette arti del quadrivio: aritmetica, geometria, musica e astronomia". Esiste dunque un legame tra questi due illustri pensatori italiani? La tesi suggerita da Leonardo Ricci sembra confermarlo anche se la risposta definitiva, come di solito accade, è affidata al dibattito che potrà svilupparsi nella comunità scientifica.

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