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I razzi si rompono come le uova

Studiare come si rompono i gusci delle uova potrebbe offrire nuovi metodi per combattere la spazzatura spaziale che si sta accumulando in orbita.

I gusci delle uova e i pezzi di scarto dei razzi spaziali si rompono nello stesso modo. Lo hanno scoperto due fisici, Falk Wittel dell'Università di Stoccarda in Germania e Ferenc Kun dell'Università di Debrecen in Ungheria, che hanno prima praticato piccoli buchi nelle uova, le hanno svuotate e riempite con idrogeno. Poi le hanno messe dentro una busta di plastica e hanno dato fuoco all'idrogeno che usciva dal buco in cima all'uovo. I due hanno quindi raccolto i pezzi nella busta e hanno misurato la loro grandezza. Nonostante le ovvie differenze di forma e grandezza, il freddo dello spazio fa aumentare la fragilità del razzo, proprio come avviene per un guscio d'uovo che non si piega o deforma, ma finisce in mille pezzi.

Dopo il lancio di un razzo, i serbatoi di carburante vengono di solito abbandonati: se un micrometeorite o un detrito colpisce il serbatoio, i residui possono innescare un'esplosione capace di polverizzare il razzo in una nuvola di frammenti. Questi frammenti rappresentano un rischio per tutti i mezzi che orbitano intorno alla Terra.

Gli esperimenti hanno dimostrato che la maggior parte del materiale si frammenta in pezzi di media grandezza: tutto il resto è composto da molti pezzi piccoli e pochi pezzi grandi. Ma la grandezza dei frammenti è solo la metà della storia. L'Esa vuole sapere anche in quali orbite si trovano. È qui che il lavoro dei due fisici potrebbe essere decisivo. Wittel e Kun hanno infatti sviluppato un modello al computer che rappresenta il fragile guscio dell'uovo come un fitto reticolo di nodi connessi da corde elastiche. Un'esplosione all'interno del guscio fa vibrare queste corde, finché una di queste viene sollecitata così tanto che si rompe. Questa rottura innesca una reazione a catena che frammenta l'intera struttura.

I due fisici riescono così a prevedere non solo il numero e la misura dei frammenti, ma anche e soprattutto la velocità con cui si disperdono. Questo potrebbe aiutare l'Esa a capire in quale orbita finiscono i detriti.

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