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La diffusione di geni nell'ambiente

Secondo ricercatori statunitensi, le strategie di confinamento dei tratti di Dna estranei di un organismo geneticamente modificato (Ogm) non possono essere considerate efficaci. Sul lungo periodo la diffusione si verificherebbe.

Le strategie di confinamento dei tratti di Dna estranei di un organismo geneticamente modificato (Ogm) non possono essere considerate efficaci e di fatto non riuscirebbero a fermare la diffusione dei transgeni in un ambiente naturale. È questa la teoria avanzata su un articolo pubblicato sull'ultimo numero della rivista Ecology Letters da ricercatori delle università americane Wisconsin-Madison e Minnesota-St. Paul.
Le tecniche in corso di studio per contenere questa diffusione sono due. La prima, nota col nome "l'esorcista", prevede l'eliminazione del transgene dalla pianta, una volta che questa non ne ha più bisogno. La seconda punta, invece, all'inserimento del gene estraneo vicino a un altro gene che ha effetti negativi sulla pianta in condizioni selvatiche. In questo modo si renderebbe improbabile la diffusione del transgene nelle popolazioni allo stato naturale.

Attualmente, in realtà, si usa una terza via (in corso di commercializzazione): questa prevede l'inserimento del gene in una parte della pianta, i cloroplasti, che difficilmente si trovano all'interno del polline. Questo significa che l'informazione genetica estranea non può essere diffusa nell'ambiente.
Ebbene, secondo i ricercatori, questo metodo di contenimento non offre nel lungo periodo una soluzione. Prima o poi insomma il polline conterrà dell'informazione genetica estranea. Secondo un modello matematico, ci vorranno circa 22 generazioni di piante perché si verifichi la diffusione dei transgeni nell'ambiente. Inoltre le probabilità che questa fuga si verifichi nelle prime dieci generazioni è del 60 per cento.

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