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Reti fuorilegge

Ancora pesca illegale nelle acque italiane

Reti fuorilegge

Sono vietate da anni, eppure nelle acque della Campania, della Calabria e della Sicilia sono 137 le spadare, imbarcazioni che usano reti derivanti e che, fino a oggi, hanno causato la morte di migliaia di cetacei nei mari italiani. È quanto emerge dal rapporto Reti derivanti italiane: la pesca illegale non si ferma, presentato nei giorni scorsi dalle associazioni Ocenia e Marevivo.


L’uso di reti da posta derivanti per la cattura di grandi pelagici è illegale perché rappresenta una minaccia per la conservazione di varie specie di cetacei, tartarughe marine e squali. Durante gli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta, questo attrezzo da pesca si diffuse a macchia d'olio nel Mediterraneo: utilizzato per catturare tunnidi e pesce spada (Xiphias gladius) permetteva di ottimizzare il lavoro e le catture non aveva bisogno di un alto livello di specializzazione, tanto che l’Italia arrivò a disporre di oltre 700 unità. Le maglia larghe impiegate per la cattura di queste specie, la lunghezza delle reti, che possono raggiungere varie decine di chilometri, o la scarsa profondità a cui sono calate, hanno causato la cattura accidentale e la morte di specie  come i cetacei, gli squali e le tartarughe marine. Le prime misure contro le reti derivate, note anche come “muri della morte”, sono state così adottate dalle Nazioni Unite più di 15 anni fa. Eppure continuano a essere utilizzate in diverse parti del mondo.


Le associazioni ambientaliste stanno conducendo da anni una campagna contro l’uso di queste reti nel Mediterraneo. Per il terzo anno consecutivo, hanno compiuto osservazioni a terra e in alto mare allo scopo di identificare e denunciarne l’uso, un’attività di pesca Illegale, non dichiarata e non regolamentata nei termini definiti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO). In questo contesto, il caso della flotta peschereccia italiana è uno dei più noti, perché trattato mediante diversi piani di riconversione finanziati con fondi pubblici e intrapresi da oltre 10 anni. Secondo il rapporto che denuncia la pesca illegale, molte delle 137 imbarcazioni rilevate dopo aver ricevuto considerevoli sovvenzioni continuano a utilizzare questo attrezzo da pesca illegale. L’importo totale percepito dalle imbarcazioni identificate da Oceana come contributo alla loro riconversione ammonta ad oltre 900.000 euro.

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