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Il carbonio inghiottito dall’oceano

Il plancton sembra affondare diversamente in varie zone dell’oceano. Un meccanismo che influisce sul sequestro a lungo termine del carbonio

Diatomee


Il plancton senza vita non affonda allo stesso modo in tutto l’Oceano Pacifico. Questa nuova scoperta aiuterà la nostra comprensione della catena che alimenta il più grande serbatoio di carbonio del mondo: il fondo degli oceani.

Un team formato da più di 40 scienziati, ha condotto una spedizione senza precedenti per catturare il plancton che stava affondando attraverso quella che è chiamata zona crepuscolare o disfotica, giù fino al fondo dell’oceano. La zona crepuscolare è lo strato tra l’acqua di superficie, o zona eufotica, dove piccolissime piante fluttuanti fanno la fotosintesi, e l’oceano profondo. Si trova tra i 100 e i 1 000 metri al di sotto della superficie.

Le minuscole piante della zona eufotica assorbono il biossido di carbonio con la fotosintesi e, quando muoiono, iniziano la loro discesa dallo strato superiore dell’oceano. Questa “neve marina” può affondare per sempre e immagazzinare il carbonio sul fondo dell’oceano, o può essere consumata e digerita dagli animali e i batteri durante il tragitto verso gli abissi. Nel secondo caso il carbonio contenuto nelle piante viene riciclato e può, eventualmente, rifare tutta la strada all’indietro fino alla superficie e poi all’atmosfera.

La zona crepuscolare, che ospita dei piccoli animali che si cibano delle piante microscopiche, gioca, perciò, un ruolo fondamentale nel sequestro a lungo termine del carbonio.

“A meno che il carbonio che arriva nell’acqua non vada a finire nell’oceano profondo, e venga lì immagazzinato, può ancora tornare nell’atmosfera” ha spiegato  Ken Buesseler, del Woods Hole Oceanographic Institution vicino Boston, negli Stati Uniti. “Senza questo deposito a lungo termine, ci sarebbe solo una piccola correzione dei livelli atmosferici di biossido di carbonio, un gas serra che ha un impatto sul clima della Terra” ha aggiunto.

Buesseler e colleghi hanno usato trappole automatiche per studiare come le minuscole piante marine muoiono e affondano o vengono consumate dagli animali. Le trappole soprannominate “esploratori della zona disfotica” erano state programmate per stabilizzarsi a una certa profondità e per essere trasportate dalle stesse correnti del plancton.

I ricercatori hanno scoperto che solo il 20 percento del carbonio totale sospeso nelle acque superficiali vicino alle Hawaii arriva nella zona disfotica. L’altro 80 percento viene consumato lungo la strada, non arrivando mai sul fondo. Al contrario, metà del carbonio di superficie arriva nella zona abissale nella zona nordovest del Pacifico.

Buesseler ha specificato di non essere sicuro del perché esista una tale differenza tra le due regioni, selezionate in quanto note agli scienziati del gruppo.

Una possibilità è che il plancton del Pacifico sia più denso. Le acque nord-occidentali del Pacifico sono piene di silicio, utilizzato da alcuni tipi di plancton per costruire il guscio. Potrebbe essere, quindi, che il plancton del Pacifico nord-occidentale affondi più rapidamente (portando con sé il carbonio che contengono) lasciando ai batteri meno tempo per consumarlo.

Un’altra spiegazione, ha aggiunto lo scienziato, potrebbe essere che la temperatura più bassa nell’alto Pacifico, rallenti la decomposizione del plancton senza vita, dandogli maggiore possibilità di finire per sempre sul fondo degli oceani.

Journal reference: Science (vol 317 p 567)

Catherine Brahic

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