Individuata la mutazione genetica che ha reso il virus del Nilo Occidentale così letale anche per l'uomo. Il responsabile è il gene che codifica la proteina elicasi, coinvolta nella replicazione virale.
Una singola mutazione genetica potrebbe spiegare perché il virus del Nilo occidentale in appena un decennio abbia aumentato la propria pericolosità da infezioni relativamente innocue per l’uomo a encefaliti mortali.
Questo virus, che può essere trasmesso all’uomo dalle zanzare che si nutrono del sangue di uccelli infetti, non costituiva una seria minaccia all’uomo fino alla metà degli anni Novanta, quando sorsero focolai di infezioni letali in Romania, Israele, Russia e perfino nel Nord America.
Aaron Brault e colleghi dell’Università della California hanno scoperto che tutti i ceppi mortali hanno in comune una mutazione del gene che codifica l’elicasi, una proteina coinvolta nella replicazione virale. La mutazione si verificava indipendentemente in ogni ceppo, suggerendo ai ricercatori che questo evento desse al virus un vantaggio selettivo.
Per confermare questo sospetto, gli scienziati hanno iniettato in alcuni corvi americani un debole ceppo di un virus manipolato per avere la mutazione del gene dell’elicasi. Un’intervento che ha incrementato la mortalità dei corvi dal 25 a quasi il 100 per cento.
Il dato più preoccupante, però, è che il virus si replicava molto più velocemente di prima, aumentando di circa 10 mila volte il numero delle particelle virali in circolazione.
“Le zanzare che si nutrono del sangue di questi uccelli – svela Brault – possono arrivare a ingoiare più di un milione di particelle virali in un solo pasto. Un fatto che aumenterebbe a dismisura l’efficienza dell’infezione”.
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