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Leonardo Morsut

Leonardo Morsut

Dalla pallavolo alla scienza

Leonardo Morsut è stato fino allo scorso anno un brillante giocatore di pallavolo, nella squadra di Trento e nella nazionale italiana. Da poco più di un mese la sua vita è cambiata. Lavora come borsista all Dipartimento di Microbiologia, Istologia e Biotecnologie Mediche dell’Università di Padova. La scelta di passare dal professionismo sportivo alla difficile realtà della ricerca scientifica può essere vista come una stranezza in controtendenza con valori sociali ormai consolidati: quelli del successo e del denaro.

14 luglio 2006
Francesco Scarpa

Leonardo Morsut, qual è il suo campo di ricerca?

Io sono di formazione un biotecnologo. Da poco tempo, circa un mese, lavoro nel laboratorio del professor Piccolo, che è stato mio docente durante l’ultimo anno del corso di laurea. Mi occupo prevalentemente dello studio di una specifica molecola segnale, chiamata TGF-beta, che consente alle cellule di trasmettere diversi tipi di informazione. Lo studio viene fatto sulle cellule dello Xenopus laevis, una rana che costituisce il sistema modello della nostra analisi. Si tenta di capire come questa molecola agisce all’interno dei processi embrionali di sviluppo.

Che ricadute possono avere questi studi?

Capire i meccanismi con cui agisce la TGF-beta nell’embriogenesi è già di per sé un aspetto interessante. Il ruolo di questa molecola è però rilevante perché è coinvolta sia nello sviluppo di questo tipo di rana, sia in quello di mammiferi o di vertebrati superiori. Si pensa che abbia diverse implicazione dei processi carginogenetici di varie neoplasie. Si trova infatti mutata in diversi tipi di tumore e sembra essere coinvolta nei processi di metastasi. Si sanno molte cose ma ne esistono tante altre da capire.

Come mai la stampa ha dato tanto risalto alla sua scelta di intraprendere la carriera di ricercatore?

Non mi aspettavo sinceramente tanta attenzione. Forse la mia scelta ha avuto risalto per il fattore economico. Di solito si immagina che uno sportivo professionista può godere di successo e di ottimi guadagni, per cui obiettivi diversi possono apparire come una stranezza. Probabilmente questa vicenda è anche un sintomo di una certa degenerazione della scala di valori nella nostra attuale società. In una situazione di normalità questa storia non sarebbe apparsa così stravagante. Invece, sembra che nell’opinione pubblica la percezione sia molto diversa.

La gratificazione economica non è un aspetto problematico per un ricercatore in Italia?

In questo laboratorio nascono ricerche di primissimo livello, di valore internazionale. La qualità è sicuramente elevata. Se guardiamo però a come sono gratificate alcune posizioni, c’è una grossa differenza rispetto ad altre realtà europee e d’oltreoceano. Probabilmente questo spiega il perché la ricerca venga poi percepita come un’attività di secondo piano dall’opinione pubblica.

Nell’ambiente sportivo che per anni ha praticato, di quale considerazione godevano i suoi interessi scientifici? È stato difficile conciliare lo studio con l’attività agonistica?

Nel mondo dove ho lavorato non si ha alcuna idea di cosa sia la ricerca, in linea con molte altre realtà italiane. I laureati, tra i pallavolisti professionisti, si contano sulle dita di una mano. Spesso non si completano neanche le scuole superiori; e stiamo parlando di un’attività che rappresenta, per così dire, un'élite nel panorama sportivo. Un pallavolista professionista è quasi completamente assorbito dalla sua professione. Quando studiavo per laurearmi, non esisteva nessun tipo di incentivo al mio studio; anzi, era percepito come un ostacolo agli allenamenti e a tutta l’attività agonistica.

Che obiettivi ha da un punto di vista scientifico?

Terminata la prima laurea, mi sono iscritto a Matematica. Questi studi mi affascinano molto da un punto di vista scientifico. La mia idea è completare anche questo secondo percorso universitario, compatibilmente con l’attività che svolgo qui. Vorrei coniugare competenze diverse e lavorare nel campo della biologia dei sistemi, dove c’è un uso massiccio di formalismi matematici per studiare problemi di origine biologica. Infatti, esistono molti aspetti computazionali legati alla biologia. Di base vi è però una grande curiosità scientifica che anima le mie scelte professionali del momento.

Una questione di fiducia

Mario Riccio Mario Riccio

La conclusione del “caso Englaro” non chiude la questione spinosa della legge sul testamento biologico che in Italia ancora manca e anzi, se come è probabile, verrà votata in questi giorni una legge circoscritta unicamente all'alimentazione e all'idratazione artificiale dei pazienti incapaci di provvedere a se stessi, si rischia di cadere nel caos più assoluto. Come spiega Mario Riccio, medico “Che ha fatto la volontà di Piergiorgio Welby” come recita il titolo di un suo libro – e che è stato assolto l'anno scorso dall'accusa di “omicidio consenziente” - non saranno solo i cittadini a farne le conseguenze, ma anche i medici che si troveranno ad affrontare situazioni sempre più complicate e pazienti sempre meno fiduciosi.

Federica Sgorbissa

11 febbraio 2009

Una legge sul testamento biologico

Boniolo Giovanni Giovanni Boniolo

Il caso Englaro - Beppino Englaro il padre di Eluana, una donna in coma per 17 anni, dopo varie battaglie legali ha ottenuto la sospensione delle cure che tenevano in vita la figlia scatenando così la forte opposizione da parte del Governo Italiano -, ha messo in evidenza la necessità di una legge per il testamento biologico in Italia. Il rischio, o la certezza visto il disegno di legge che dovrebbe essere approvato a breve, è che nella fretta si finisca per far passare un provvedimento parziale e che limiterà la libertà di scelta di ogni cittadino. Con Giovanni Boniolo, filosofo della scienza esperto di bioetica e coordinatore del dottorato in “Foundation of life sciences and their ethical consequences” abbiamo discusso della deriva italiana in fatto di autodeterminazione del paziente.

Federica Sgorbissa

10 febbraio 2009

Tanto rumore per una particella

Maria Curatolo Maria Curatolo

Il Large Hadron Collider è un dispositivo lungo 27 chilometri situato a circa 100 metri di profondità al confine tra Francia e Svizzera. Al suo interno i fasci di protoni corrono a velocità della luce. In alcuni punti la temperatura è da brivido, quasi 270 gradi sotto zero. Ma quando i protoni si scontrano la temperatura sale fino a diventare 1000 miliardi di volte maggiore di quella al centro del Sole. I suoi numeri sono da record: LHC oggi è la macchina più potente e la fabbrica di informazioni più grande del mondo. Il suo obiettivo principale? Trovare una particella: il bosone di Higgs. Maria Curatolo, responsabile per l’INFN dell’esperimento ATLAS, spiega a Scienza Esperienza gli obiettivi degli esperimenti di LHC.

Ilenia Picardi

23 settembre 2008

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