Luigi Nicolais è tra i ricercatori italiani più citati al mondo: è Ministro della Funzione Pubblica e dell’Innovazione nel nuovo governo Prodi. Scienziato e politico, la sua figura è sicuramente una delle grandi novità che percorre il mondo della politica in questi ultimi giorni. Vediamo quali sono le sue idee per il prossimo quinquennio.
Ordinario di Tecnologie dei Polimeri presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, nonché professore aggiunto presso le università del Connecticut e di Washington negli Stati Uniti; nella scorsa legislatura è stato, per la Regione Campania, Assessore dell'Università e Ricerca scientifica, Innovazione Tecnologica e Nuova Economia, Sistemi informativi e Statistica, Musei e Biblioteche. Nel corso della sua attività scientifica e didattica, ha realizzato ricerche estremamente significative in tutti i settori connessi alla tecnologia e alla scienza dei polimeri ricevendo importanti riconoscimenti internazionali. Dal 2005 è Presidente della Città della Scienza di Napoli.
Professor Nicolais, Lei è docente di tecnologie dei polimeri. Quali studi, nello specifico, riguardano il suo campo di ricerca?
Da molti anni lavoro nel settore di ricerca dei materiali compositi e dei biomateriali. All'inizio della mia attività la frontiera erano i materiali plastici e i compositi strutturali. Erano gli anni della chimica e della sua ingegnerizzazione nella quotidianità. I polimeri erano oggetto sia di applicazioni industriali a larga diffusione sia di nicchie di ricerca altamente sperimentali. I nuovi materiali, in particolare il polipropilene, divennero famosi grazie anche a Carosello con la mitica battuta di Gino Bramieri, "e mò e mò e mò... Moplen!". Il Moplen è un particolare materiale plastico. Ma al di là di questo, già dalla prima metà degli anni Settanta mi andavo convincendo che la ricerca sui materiali avrebbe permesso un giorno di superare tutta una serie di limiti progettuali e fisici. Per dirla in altre parole, l'obiettivo era liberare la creatività progettuale dai limiti fisici dei materiali e cominciare a progettare i materiali e non solo le strutture. La produzione scientifica, quindi, si è sviluppata lungo questo asse, diramandosi in più sottosettori applicativi e sperimentali, grazie anche alla fittissima rete di collaborazione internazionale e alle diverse possibilità d'uso.
Come si è calato da scienziato o, in generale, da uomo di scienza nell'attività pubblica, prima come assessore in Campania e ora come ministro?
Innanzitutto con la curiosità e anche con l'umiltà di affrontare una nuova sfida, mettendo però in campo tutto quanto avevo imparato e acquisito a livello metodologico e sperimentale quando affrontavo questioni teoriche e gestionali delle attività di ricerca. Poi rendendo il lavoro trasparente. Ho cercato da subito di estendere quella sorta di understatement e di apertura, tipica del mondo scientifico, sia all'interno della macchina amministrativa sia nei rapporti interpersonali con gli altri colleghi assessori, con i dirigenti e con le imprese. Creato il clima di rete e di relazioni, ho tracciato una rotta, definita da piani strategici. Ho dato vita a documenti aperti in cui tutti gli attori potessero riconoscersi e dare un proprio qualificato contributo. Dopo la fase di confronto è stato redatto un piano di governo su cui si è lavorato. Credo che gran parte di quell'esperienza positiva verrà tradotta nella nuova sfida ministeriale.
Qual è lo stato attuale della ricerca in italia? Quali sono le priorità che il governo deve affrontare tra ricerca di base, applicata e innovazione tecnologica?
Una premessa: non ci sono ricette magiche, né è possibile individuare priorità senza contemporaneamente intercettare risorse adeguate. Di questo dobbiamo convincerci insieme all'altro elemento chiave: gli effetti degli investimenti in ricerca difficilmente si vedono nel breve periodo. Poi c'è dell'altro. Non ha senso parlare di ricerca in termini di "base" o "applicata", né di esse come premesse per l'innovazione. Ricerca e innovazione sono espressioni di un'unica filiera, quella della conoscenza, che inizia con la valorizzazione della formazione e sfocia nel sostegno di comportamenti innovativi in ogni settore. Solo se curiamo ogni aspetto diventa possibile ragionare in termini strategici. Capisco poi l'esigenza di avere delle priorità "bandiera" che giustifichino degli interventi, delle scelte, o meglio una governance del sistema, allora in questi casi è bene dotarsi di alcuni progetti di riferimento abbastanza ampi e rappresentativi da permetterci di fare il salto.
Le priorità "bandiera" devono essere occasione per riconfigurare le linee e le organizzazioni di ricerca, far emergere la ricerca di qualità e di eccellenza, valutare l'operato sia di chi investe sia di chi opera. Progetti funzionali a rendere il sistema più coeso e, nello stesso tempo, più dinamico. Se ciò debba poi avvenire nel settore della biologia avanzata o in quello della papirologia non spetta dirlo né al mercato né alle corporazioni accademiche, ma deve rispondere a una valutazione e a una strategia che tenga conto dei diversi livelli di azione che possiamo avere per la ricerca: regionale, nazionale e comunitaria.
Lei è anche Presidente della Città della Scienza di Napoli. Che rapporto c'è tra scienza e comunicazione scientifica in Italia? Che prevede o spera per il futuro?
La comunicazione scientifica è la chiave di volta per consentire sia il proseguimento delle attività scientifiche sia per garantire i cambi generazionali. La scienza, quando non la si conosce, spaventa, è percepita come ostile e ostica, ma anche come mirabilia. La causa prima di queste distorsioni siamo anche noi ricercatori che spesso parliamo in un linguaggio da iniziati, né ci sporchiamo le mani con la divulgazione. A essa segue un generale pressappochismo per le cose di scienza che è tipico della nostra cultura. C'è un vuoto che bisogna colmare. Ci sono esperienze importanti da prendere in considerazione, ma ancora una volta e soprattutto in questo caso ciò che premia è la visione di insieme. Non si tratta di tradurre in un linguaggio più semplice, ma creare percorsi che facilitino l'accesso alle conoscenze scientifiche utilizzando soprattutto i nuovi media che permettono di andare oltre l'oralità e il testo per dare grande risalto e opportunità alla visione e alla interazione.
La comunicazione scientifica ha un valore sociale? Gli scienziati sono realmente attenti a quest'aspetto?
Sicuramente la comunicazione scientifica ha un valore sociale; ma attenzione, nella società della conoscenza la comunicazione scientifica ha un forte valore economico. E di questo le grandi holding di ricerca internazionale sono consapevoli. Non mi riferisco solo ai brevetti, ma alla capacità di orientare l'opinione pubblica in un verso piuttosto che in un altro. Faccio due esempi ormai da manuale: la fusione fredda e l'ingegneria tissutale. In entrambi i casi questioni scientifiche e tecniche altamente complesse sono state tradotte perdendo efficacia scientifica, ma aumentando considerevolmente la platea di riferimento e di coinvolgimento sì da modificare scelte, finanziamenti e progetti industriali.
Credo che per la delicatezza delle questioni in campo, non da ultimo le questioni collegate alla bioetica, sia necessaria una particolare attenzione e cura principalmente da parte degli scienziati che andrebbero incoraggiati a diventare anche buoni divulgatori. Fortunatamente abbiamo anche grandi esempi; che spero facciano scuola, oltre che da apripista.
Come interagisce la politica con la scienza e con gli scienziati; e come eventualmente dovrebbe farlo?
La comunità scientifica è solidale e coesa, impermeabile ai cambiamenti che provengono dall'esterno, soprattutto verso quelli che puntano a continue riforme a costo zero. Lo sforzo della politica è creare un punto di contatto, un terreno di confronto che vada oltre la richiesta di finanziamenti, oltre la tutela e i continui tentativi di riforme. L'obiettivo comune dovrebbe essere una stabilizzazione, una normalizzazione, oltre alla creazione di un nuovo patto fra scienza e politica per il futuro del Paese.
Non c'è bisogno di cose straordinarie ma di garantire con continuità la prosecuzione di un lavoro, creare un ambiente favorevole alla ricerca, alla disseminazione dei risultati, al trasferimento delle tecnologie, alla valorizzazione della ricerca guidata dalla curiosità. Ci sono delle emergenze e delle urgenze su cui la politica dovrà pronunciarsi. Penso alla grande questione del salto generazionale, alla dilagante precarietà del sistema, alla sola mobilità in uscita dei nostri migliori talenti, al progressivo provincializzarsi delle nostre strutture.
Ecco, credo che la politica, e soprattutto le azioni che questo governo metterà in campo, potranno favorire da un lato nuove forme di coordinamento dinamico e multilivello, dall'altro introdurre elementi di certezza sia per il futuro dei giovani sia per la quotidianità del lavoro di chi fa ricerca.
La conclusione del “caso Englaro” non chiude la questione spinosa della legge sul testamento biologico che in Italia ancora manca e anzi, se come è probabile, verrà votata in questi giorni una legge circoscritta unicamente all'alimentazione e all'idratazione artificiale dei pazienti incapaci di provvedere a se stessi, si rischia di cadere nel caos più assoluto. Come spiega Mario Riccio, medico “Che ha fatto la volontà di Piergiorgio Welby” come recita il titolo di un suo libro – e che è stato assolto l'anno scorso dall'accusa di “omicidio consenziente” - non saranno solo i cittadini a farne le conseguenze, ma anche i medici che si troveranno ad affrontare situazioni sempre più complicate e pazienti sempre meno fiduciosi.
Il caso Englaro - Beppino Englaro il padre di Eluana, una donna in coma per 17 anni, dopo varie battaglie legali ha ottenuto la sospensione delle cure che tenevano in vita la figlia scatenando così la forte opposizione da parte del Governo Italiano -, ha messo in evidenza la necessità di una legge per il testamento biologico in Italia. Il rischio, o la certezza visto il disegno di legge che dovrebbe essere approvato a breve, è che nella fretta si finisca per far passare un provvedimento parziale e che limiterà la libertà di scelta di ogni cittadino. Con Giovanni Boniolo, filosofo della scienza esperto di bioetica e coordinatore del dottorato in “Foundation of life sciences and their ethical consequences” abbiamo discusso della deriva italiana in fatto di autodeterminazione del paziente.
Il Large Hadron Collider è un dispositivo lungo 27 chilometri situato a circa 100 metri di profondità al confine tra Francia e Svizzera. Al suo interno i fasci di protoni corrono a velocità della luce. In alcuni punti la temperatura è da brivido, quasi 270 gradi sotto zero. Ma quando i protoni si scontrano la temperatura sale fino a diventare 1000 miliardi di volte maggiore di quella al centro del Sole. I suoi numeri sono da record: LHC oggi è la macchina più potente e la fabbrica di informazioni più grande del mondo. Il suo obiettivo principale? Trovare una particella: il bosone di Higgs. Maria Curatolo, responsabile per l’INFN dell’esperimento ATLAS, spiega a Scienza Esperienza gli obiettivi degli esperimenti di LHC.