Erio Tosatti è da anni impegnato nell'ambito della fisica degli stati condensati. I suoi studi teorici negli ultimi anni si sono indirizzati anche verso problematiche applicative di tipo industriale. Lo abbiamo incontrato per fare il punto sull'attuale situazione della ricerca italiana nel suo campo di interesse e per inquadrare il rapporto tra la ricerca scientifica di base e le nuove esigenze che emergono dai laboratori industriali.
Recentemente una sua importante ricerca, pubblicata su "Nature Materials", ha interpretato con un modello matematico l'attrito dei pneumatici sul bagnato in particolari condizioni. Questi studi sono nati anche da una collaborazione con l'industria Pirelli. In questo contesto come vede il rapporto tra la ricerca scientifica e le problematiche applicative di tipo industriale?
Probabilmente in Italia ci sono centinaia di gruppi che fanno molta
più ricerca relativa a problemi di tipo industriale rispetto a quella
sviluppata dal nostro gruppo. Ciò accade per tanti motivi: noi veniamo
da un'area in cui la ricerca è legata soprattutto a una certa curiosità
scientifica e non a una finalizzazione strettamente pratica; inoltre,
siamo dei fisici teorici e raramente i teorici riescono ad avere un
collegamento con le industrie e quindi anche un impatto su problemi
industriali.
Può succedere però che un'industria abbia bisogno di esaminare dei
campioni, di capire come è fatto un materiale e quindi di sviluppare
idee sull'esito di certe applicazioni. Queste problematiche industriali
non sono quasi mai "pulite" e idealizzate come quelle che si affrontano
in fisica. In questi casi è possibile che le industrie si rivolgano ai
nostri colleghi sperimentali, quasi mai a dei teorici che per loro
natura tendono a essere tagliati fuori da un certo scenario.
Per questo motivo noi facciamo parte di una comunità che storicamente è
slegata dalle problematiche dell'industria, almeno in Italia;
naturalmente negli Stati Uniti e in generale nei paesi più sviluppati,
in comunità più ampie e collegate, questo rapporto è leggermente
migliore perché i gruppi teorici generano persone che sono capaci di
calcolare grandezze, di quantificare le cose, che usano linguaggi
informatici, che possono costruire modelli, e tutto in un contesto più
vasto. I contatti che i nostri colleghi americani hanno anche con
l'industria e con problemi di natura pratica tendono a essere superiori
a quelli che noi abbiamo qui; d'altra parte è vero anche che questo
tipo di contatti si tende a nasconderli: la gente è molto restia a
passarli ai propri colleghi. Si parla apertamente di scienza e di
fisica, ma quando si tratta di esigenze pratiche, di contatti
industriali, si preferisce non a condividerli con altri.
In realtà la storia della fisica e della scienza in generale sono piene
di problematiche che vengono dalla vita pratica di tutti i giorni. Se
uno va indietro nel tempo, nel Settecento o nell'Ottocento, non c'era
poi una distinzione cosí netta tra un fisico o un matematico, oppure
tra un naturalista o un ingegnere. Si è sviluppato successivamente un
progressivo raffinamento per cui la scienza si è trasferita nei
laboratori, si è occupata di sistemi sempre più specializzati,
complicati e idealizzati e ha poi prodotto anche una divisione tra
scienziati teorici e sperimentali: lo sviluppo scientifico, come un
albero ramificato, è cresciuto moltissimo, cosí tanto che alcuni rami
di questo albero non sanno più dove sia il tronco né le radici, pur
dipendendone ancora.
Quindi, secondo alcuni di noi, non solo per un'esigenza pratica ma
anche per una esigenza filosofica è importante riavvicinarsi a queste
radici. Alcuni scienziati sostengono posizioni ancora più estreme, cioè
considerano e si occupano esclusivamente di problemi che abbiano un
collegamento pratico. Noi non abbiamo un atteggiamento cosí radicale,
siamo in realtà ancora dall'altra parte, infatti la maggior parte delle
cose che studiamo hanno un'origine abbastanza accademica; però c'è una
tendenza a spostarsi in una direzione che sia più applicata.
Non c'è una scienza pura e una scienza applicata, questa è una
categoria che è stata inventata da persone che di scienza non se ne
occupavano realmente. Più che altro esiste della buona scienza e della cattiva
scienza. Il fatto che una ricerca sia applicata oppure no dipende dalla
sorgente delle informazioni connesse a quella ricerca, e da dove è
emerso il problema scientifico che ne è alla base, e inoltre da quali
passi bisogna fare per ottenere dei risultati: il tutto va al di là di
un semplice aggiustamento tecnico per fare funzionare meglio le cose.
Di problemi scientifici da inquadrare in questa ottica se ne trovano
tanti.
Io condivido l'atteggiamento di alcuni colleghi, come Giorgio Parisi
dell'Università di Roma La Sapienza, per cui la fisica si può occupare
di qualunque cosa descrivibile con un modello matematico, qualsiasi
cosa che si possa matematizzare. Il vantaggio rispetto a scienze come
la biologia o altre scienze di questo tipo, è che in fisica o anche
nelle scienze dei materiali si procede per modelli matematici: c'è una
realtà, si cerca di descriverla e capirla, e poi si fa un modello
matematico. Questa metodologia porta infinitamente più distante di
quanto possa portare una semplice fenomenologia.
Assumendo questo atteggiamento si trovano problemi di fisica nei posti
più disparati. Non esiste una realtà naturale o anche sociologica o
addirittura psicologica che sia impermeabile a questo tipo di approccio
scientifico.
Nonostante grandi barriere culturali, noi cerchiamo di guardare il
mondo da questo punto di vista. Cercare realtà che possono essere
modellizzate è un'esercizio difficile che richiede fantasia, che non
tutti possiedono, per cui può capitare di finire su strade già battute
da altri. è difficile aprire una pista nuova, a volte ci vuole un vero
pioniere, ma a volte basta uno scienziato aperto, interessato, capace
di indirizzarsi verso nuove areee.
Questo è un po' lo spirito con cui il nostro gruppo fa ricerca: non
solo attraverso contatti con l'industria, ma assumendo un atteggiamento
ricettivo agli stimoli che provengono dal mondo e che possono fornire
interessanti spunti di ricerca, sfruttando la tecnologia disponibile.
In questo contesto la fisica dello stato solido o degli stati
condensati è un laboratorio eccellente, un'ottima officina piena di
arnesi. Io sono una specie di idraulico, vengo chiamato nei posti più disparati a risolvere i problemi più disparati.
Che metodologie si usano nella fisica dello stato solido o degli stati condensati?
In fisica degli stati condensati bisogna assolutamente imparare a
costruire modelli perché si affrontano problemi in sé troppo
complicati. Le interazioni sono tutte conosciute, la fisica di base è
nota, l'equazione di Schrödinger anche. Si parte cioè da un lavoro
precedente che è stato fatto dagli scienziati che si sono occupati
della fisica fondamentale. Rimane in ogni caso difficile studiare, per
esempio, un sistema con 1023 particelle. Allora bisogna
applicare la metodologia del modello, bisogna tagliare dei rami del
problema e ridurlo a qualcosa di essenziale, che possa essre risolto;
dopo di ché si va avanti con l'arma del rasoio, cioè ci si chiede se
questo modello rappresenta o meno il fenomeno, se lo si sa risolvere
matematicamente, se è possibile risolverlo con un algoritmo, oppure,
nell'ipotesi che non lo si sappia risolvere, se si può studiarlo con
una simulazione.
è possibile usare questa "strumentazione" ogni giorno per problemi che
sono di interesse accademico ma è possibile usarla anche per problemi
che sorgono per altri motivi.
Con la filosofia di occuparsi di tutto e con una strumentazione che
forse non è capace di affrontare tutto, ma che va dalla matematica più
sottile al quasi esperimento di una simulazione al computer, si riesce
ad affrontare molte problematiche. Questo è quello che molto
modestamente cerchiamo di fare, non con grandissimo impatto ma con
qualche successo, come per esempio quello che Lei citava inizialmente
riguardo la ricerca sull'attrito.
Che studi sono stati fatti in collaborazione con la Pirelli?
Con questa industria ci siamo occupati essenzialmente di un paio di cose: una riguardava uno studio che aveva ricadute sull'usura di cavi, l'altra è la ricerca citata.
È l'industria che vi ha contattato?
In realtà questo contatto è nato da un raro caso di generosità da parte di un collega sperimentale che colloborava con i laboratori della Pirelli, dove facevano certe misure. Lui ha pensato a me e al gruppo della SISSA; tra l'altro la cosa ha funzionato perché nei laboratori della Pirelli lavorava una nostra ex collaboratrice, quindi si è creato un legame perché si sapeva che tipologie di ricerche venivano fatte qui dal nostro gruppo alla SISSA.
La Pirelli è quindi impegnata anche nella ricerca di base?
Il gruppo Pirelli è forse una delle industrie in Italia più attiva
in questo campo: oltre allaboratorio Pirelli Lab, all'interno dei vari
settori hanno una certa tradizione in termini di ricerca e innovazione;
forse negli ultimi anni il tutto ha subito un rallentamento per
problemi finanziari, ma in generale la Pirelli è una industria molto
vivace con gente molto sensibile a un certo tipo di problematiche: loro
commissionano la ricerca e dall'interno coordinano solo alcuni aspetti.
A noi per esempio ci è stata commissionata una ricerca sulle proprietà
isolanti del polietilene: volevano capire cosa poteva far durare di più
o di meno un certo tipo di cavi. è stato un esempio molto divertente
nel quale ci si è messi a studiare un problema su cui erano stati già
scritti un mare di libri; infatti l'isolamento industriale è un
problema che esiste da sempre. Inoltre il polietilene esisteva da tanto
tempo, in particolare da quando Giulio Natta, premio Nobel per la
chimica nel 1962, è riuscito a crearlo con dei catalizzatori negli anni
Cinquanta. L'Italia, detto per inciso, ha svolto un ruolo pionieristico
in questo campo; se noi avessimo sfruttato questi risultati saremmo
molto più avanti ... infatti la chimica l'ha fatto per un po', e poi
purtroppo è finita in mano alla politica.
In ogni caso sul polietilene si sanno molte cose grazie ai chimici che
l'hanno costruito o agli ingegneri che l'hanno usato, ma i fisici se ne
sono completamente disinteressati. è accaduto però che la conoscenza
dei chimici e degli ingegneri si è fermata a un livello macroscopico, e
in effetti si sono poi trovati a lavorare al buio nel momento in cui
c'era da interpretare dei processi a livello atomico.
Noi invece abbiamo studiato i comportamenti microscopici del
polietilene e per la prima volta ci siamo accorti di certe proprietà;
abbiamo per esempio spiegato una proprietà che si chiama affinità elettronica negativa.
Proprietà che sembravano abbastanza arcane ma che in realtà entrano in
maniera importante nel problema dell'isolamento. Secondo noi, pur
restando in un ambito abbastanza aperto, abbiamo prodotto un discreto
progresso anche di natura fondamentale.
La conclusione del “caso Englaro” non chiude la questione spinosa della legge sul testamento biologico che in Italia ancora manca e anzi, se come è probabile, verrà votata in questi giorni una legge circoscritta unicamente all'alimentazione e all'idratazione artificiale dei pazienti incapaci di provvedere a se stessi, si rischia di cadere nel caos più assoluto. Come spiega Mario Riccio, medico “Che ha fatto la volontà di Piergiorgio Welby” come recita il titolo di un suo libro – e che è stato assolto l'anno scorso dall'accusa di “omicidio consenziente” - non saranno solo i cittadini a farne le conseguenze, ma anche i medici che si troveranno ad affrontare situazioni sempre più complicate e pazienti sempre meno fiduciosi.
Il caso Englaro - Beppino Englaro il padre di Eluana, una donna in coma per 17 anni, dopo varie battaglie legali ha ottenuto la sospensione delle cure che tenevano in vita la figlia scatenando così la forte opposizione da parte del Governo Italiano -, ha messo in evidenza la necessità di una legge per il testamento biologico in Italia. Il rischio, o la certezza visto il disegno di legge che dovrebbe essere approvato a breve, è che nella fretta si finisca per far passare un provvedimento parziale e che limiterà la libertà di scelta di ogni cittadino. Con Giovanni Boniolo, filosofo della scienza esperto di bioetica e coordinatore del dottorato in “Foundation of life sciences and their ethical consequences” abbiamo discusso della deriva italiana in fatto di autodeterminazione del paziente.
Il Large Hadron Collider è un dispositivo lungo 27 chilometri situato a circa 100 metri di profondità al confine tra Francia e Svizzera. Al suo interno i fasci di protoni corrono a velocità della luce. In alcuni punti la temperatura è da brivido, quasi 270 gradi sotto zero. Ma quando i protoni si scontrano la temperatura sale fino a diventare 1000 miliardi di volte maggiore di quella al centro del Sole. I suoi numeri sono da record: LHC oggi è la macchina più potente e la fabbrica di informazioni più grande del mondo. Il suo obiettivo principale? Trovare una particella: il bosone di Higgs. Maria Curatolo, responsabile per l’INFN dell’esperimento ATLAS, spiega a Scienza Esperienza gli obiettivi degli esperimenti di LHC.