Che cos'è l'intelligenza? È un'impresa individuale o collettiva? I robot potranno mai apprendere? Ecco alcune domande per Orazio Miglino dell'Università di Napoli "Federico II". Psicologo di formazione sperimentale, studioso di reti neurali, da anni si occupa di vita artificiale, sviluppando modelli che simulino il comportamento.
Professor Miglino, quali fenomeni cerca di riprodurre nei suoi modelli?
Tentiamo di costruire modelli di fenomeni neurobiologici, neurocognitivi o psicobiologici. Per esempio, studiamo l'orientamento spaziale. Questa funzionalità può essere indagata sotto più punti di vista: uno è quello comportamentale. Un approccio differente è invece comprendere quali strutture a livello neuronale producano un determinato comportamento. Quest'ultimo tipo di modellistica, molto sofisticata, ha come oggetto di studio direttamente il cervello e i circuiti cerebrali in dettaglio.
E' possibile però rovesciare il problema. L'orientamento spaziale è in effetti un comportamento manifesto che ha delle sue regolarità. Quindi, anziché partire dal dato neuronale, è possibile studiare direttamente il comportamento. Per esempio, come si muove un ratto in un labirinto.
Tutti gli studi sui labirinti, come quello di Tolman, sono casi in cui si parte dal dato comportamentale per poi costruire una macchina che simula effettivamente quel comportamento. Esistono in sintesi due approcci. E' possibile partire dal dato neuronale per raggiungere il comportamento e viceversa. Queste due strade hanno limiti differenti. Partire dal dettaglio cerebrale consente di toccare gli aspetti comportamentali solo parzialmente; viceversa l'approccio che privilegia il comportamento, giunge al cervello in modo relativamente preciso. Nel senso che individuiamo delle funzionalità ma non riusciamo a disegnare nel dettaglio il circuito neuronale.
Che sviluppi ci sono stati negli ultimi anni?
Fino a una quindicina di anni fa era possibile soprattutto sviluppare dei sistemi simulati, tipo videogiochi, che vivevano in ambienti virtuali. Ricevevano degli stimoli, producendo poi specifici comportamenti. Oggi l'evoluzione tecnologica ci rende le cose un po' più semplici. Possiamo costruire dei veri e propri robot. Grazie allo sviluppo della sensoristica è stato possibile passare da simulazioni virtuali alla costruzione di macchine che compiono azioni reali. Il vantaggio, e a volte lo svantaggio, sta nell'opportunità di osservare comportamenti in un ambiente reale, che altrimenti sarebbero impossibile da vedere e ricostruire. La realtà ci costringe a risolvere problemi di vario genere. Uno, per esempio, è quello dell'energia. I robot hanno bisogno di energia per funzionare. Necessitano di batterie. Si può anche simulare un comportamento complicatissimo che non tenga conto di quest'aspetto, ma per riprodurre effettivamente la realtà fisica prima o poi si deve negoziare con l'energia. Un secondo aspetto di cui tener conto è l'immediatezza della risposta. Non è possibile costruire un programma troppo complicato che implichi tempi eccessivamente elevati nei processi decisionali. Se il sistema si muove in un ambiente reale deve poter prendere decisioni in tempi relativamente brevi. Altrimenti genera soluzioni inadeguate alle situazioni ambientali. Il fatto che l'ambiente è completamente dinamico pone dei problemi che i modelli devono poter fronteggiare in maniera efficace.
L'intelligenza artificiale è una qualità che emerge dalla simulazione di comportamenti complessi oppure si riduce a un problema di potenza di calcolo?
Nella robotica c'è un uso dei robot in forme completamente diverse. C'è per esempio chi sviluppa robot che fanno uso di algoritmi di intelligenza artificiale classica. In questo caso si assume un modello dell'orientamento spaziale, qualcosa che sia abbastanza codificata, per poi scrivere un programma che diventa il sistema di controllo del robot. Questa metodologia è riconducibile all'approccio tradizionale cognitivista. Altri tentano invece di costruire modelli che interagendo con l'ambiente attraverso delle reti neurali, hanno la capacità di apprendere. Sono sviluppati all'interno di un'ottica emergentista. La macchina dovrebbe così acquisire informazioni dall'interazione. La soluzione emerge da un processo. In questo caso si parla di robotica adattiva, o robotica evolutiva, o anche di robotica biomorfa. C'è un forte richiamo alla biologia, al comportamento e alla logica della vita. E' un atteggiamento più attento a simulare i processi che fanno emergere le soluzioni, piuttosto che gli schemi che simulano effettivamente le soluzioni.
La robotica industriale potrebbe essere modificata nell'ottica di questi nuovi modelli adattivi?
La robotica industriale è tutt'altra cosa. Vengono prodotte
macchine completamente diverse, che vivono in un ambiente statico. La
sensoristica è ridotta al minimo. Coprono delle applicazioni spesso
ripetute, come quelle nelle catene di montaggio. Tutti i robot adattivi
potranno invece essere usati in altre categorie di problemi. Possono,
per esempio, svolgere la funzione di sminatori artificiali. Oppure,
avere applicazioni nell'ambito di problemi quotidiani, come la pulizia
nelle case. Esistono già sistemi intelligenti a basso costo che sono in
grado di svolgere minime attività di pulizia dei pavimenti. Anche il
mondo delle telecomunicazione può riceverne benefici. Esistono infatti
degli studi di Dario Floreano, che lavora a Losanna, sulla possibilità
di costruire un sistema di microrobot volanti, una specie di piccoli
aeroplani, che sarebbero in grado di creare una sorta di rete di
telecomunicazione mobile capace di riadattarsi in volo dinamicamente,
anche in condizioni ambientali disagiate, come in zone di montagna dove
non esistono antenne o ripetitori. E' una specie di stormo artificiale
che dovrebbe riuscire a compensare eventuali "buchi" nella rete dovuti
alla caduta di alcuni di questi piccoli aerei automatizzati.
Questo campo di ricerca si chiama robotica collettiva. Passando
attraverso la biologia si è compreso infatti che possono emergere
comportamenti intelligenti da azioni collettive. Per esempio, gli
stormi o gli sciami manifestano questi comportamenti. Non a caso
costituiscono un importante oggetto di studio; uno dei campi di ricerca
in cui opera Giorgio Parisi, per fare un esempio.
Cos'è allora l'intelligenza nell'ambito della robotica?
Avere un robot complicatissimo che sa far tutto: muovere le mani, camminare ecc. presuppone in ogni caso che al suo interno qualcuno abbia inserito una qualche forma di intelligenza. Il punto è che o si possiede a priori una teoria generale dell'intelligenza, che al momento non esiste, oppure si tenta di costruire degli algoritmi in grado di far emergere dei comportamenti intelligenti. Da questo punto di vista l'emergere dell'intelligenza non appare più come un'impresa individuale ma piuttosto come un'impresa collettiva. Il problema è che attualmente abbiamo dei sofisticatissimi corpi elettromeccanici: esistono bracci meccanici, occhi artificiali, sensori di ogni genere; ma alcuni aspetti legati al comportamento, non avendo ancora una teoria generale dell'intelligenza, rimangono in parte oscuri.
C'è differenza tra il concetto di vita artificiale e quello di intelligenza artificiale?
L'intelligenza artificiale è una disciplina focalizzata sulla costruzione di forme di intelligenza, come per esempio quelle macchine in grado di giocare a scacchi, che cercano di riprodurre il pensiero, incentrandolo sull'idea di psyché, sulla logica dell'anima e della mente. La vita artificiale, invece, condivide con l'intelligenza artificiale l'idea di costruire delle macchine, però parte dal dato biologico. La domanda è allora: da quale dato biologico? Alcuni rispondono che è il cervello, e quindi studiano le reti neurali. Altri sostengono che il dato biologico principale è il sistema genetico, per cui costruiscono algoritmi genetici. Altri ancora, come me che sono uno psicologo, ritengono che il dato comportamentale e il corpo con il suo sistema sensoriale sia l'aspetto fondamentale. E' ovvio e auspicabile che un giorno tutti questi approcci dovranno convergere in qualche modo.
Alle volte, le diverse tecniche usate dai ricercatori nascondono esplicitamente o implicitamente una personale visione del mondo dettata più da contingenze che da altro. In generale, quello che è possibile dire è che l'intelligenza non è solo cervello, l'intelligenza non è solo corpo o genetica, e non è solo una capacità individuale.
C'è un articolo di Brooks molto interessante in cui si dice: "in fin dei conti gli elefanti non giocano a scacchi". Il senso è che abbiamo costruito macchine che giocano a scacchi, molto complicate, che riproducono forme astratte del pensiero, ma al contrario sistemi semplici che svolgano compiti motori in apparenza anche banali per noi uomini, sono ancora difficili da realizzare. Quello che noi riteniamo complesso può in realtà non esserlo affatto.
La conclusione del “caso Englaro” non chiude la questione spinosa della legge sul testamento biologico che in Italia ancora manca e anzi, se come è probabile, verrà votata in questi giorni una legge circoscritta unicamente all'alimentazione e all'idratazione artificiale dei pazienti incapaci di provvedere a se stessi, si rischia di cadere nel caos più assoluto. Come spiega Mario Riccio, medico “Che ha fatto la volontà di Piergiorgio Welby” come recita il titolo di un suo libro – e che è stato assolto l'anno scorso dall'accusa di “omicidio consenziente” - non saranno solo i cittadini a farne le conseguenze, ma anche i medici che si troveranno ad affrontare situazioni sempre più complicate e pazienti sempre meno fiduciosi.
Il caso Englaro - Beppino Englaro il padre di Eluana, una donna in coma per 17 anni, dopo varie battaglie legali ha ottenuto la sospensione delle cure che tenevano in vita la figlia scatenando così la forte opposizione da parte del Governo Italiano -, ha messo in evidenza la necessità di una legge per il testamento biologico in Italia. Il rischio, o la certezza visto il disegno di legge che dovrebbe essere approvato a breve, è che nella fretta si finisca per far passare un provvedimento parziale e che limiterà la libertà di scelta di ogni cittadino. Con Giovanni Boniolo, filosofo della scienza esperto di bioetica e coordinatore del dottorato in “Foundation of life sciences and their ethical consequences” abbiamo discusso della deriva italiana in fatto di autodeterminazione del paziente.
Il Large Hadron Collider è un dispositivo lungo 27 chilometri situato a circa 100 metri di profondità al confine tra Francia e Svizzera. Al suo interno i fasci di protoni corrono a velocità della luce. In alcuni punti la temperatura è da brivido, quasi 270 gradi sotto zero. Ma quando i protoni si scontrano la temperatura sale fino a diventare 1000 miliardi di volte maggiore di quella al centro del Sole. I suoi numeri sono da record: LHC oggi è la macchina più potente e la fabbrica di informazioni più grande del mondo. Il suo obiettivo principale? Trovare una particella: il bosone di Higgs. Maria Curatolo, responsabile per l’INFN dell’esperimento ATLAS, spiega a Scienza Esperienza gli obiettivi degli esperimenti di LHC.