Vie di terra e vie di mare

Il blu degli edifici di Samarcanda e il giallo del deserto turkmeno, il grigio sulle strade del Pamir e il rosso dell’anguria sulle nostre tavole, l’odore del montone e quello della polvere, i vestiti di velluto delle donne tajike e i ricami di quelle uzbeke, i volti rugosi dei vecchi e quelli morbidi dei bambini e mille altri stimoli per tutti e cinque i nostri sensi. Anche questo fa parte del bottino raccolto lungo la Via della Seta, un percorso tracciato nel tempo, che ha consentito agli uomini di mischiarsi, conoscersi, scambiarsi oggetti, idee, credi, geni e sapori.

Silk Road

Marco Polo ne è stato forse il passante più famoso, ma poco dopo di lui altre vie commerciali si sono aperte al mondo, altre vie di terra, ma soprattutto altre vie di mare.

Con la fine del Medio Evo l’uomo ha cominciato a fidarsi prima dei monsoni, che a seconda della stagione lo spingevano da Est verso Ovest o da Ovest verso Est nell’oceano Indiano e poi degli alisei che con il loro soffio costante gli permettevano di avventurarsi nelle distese dell’Atlantico prima e del Pacifico poi.

Imparando a conoscere i venti l’uomo ha sempre più osato affidare al mare i propri sogni di scoperta e di conoscenza, che sono sempre andati a braccetto con gli scambi, il commercio e ahimè la conquista. Strade nuove dunque, dove tra le altre cose, ancora una volta anche i geni sono stati scambiati, mischiati e trasportati.

Così, con ancora pochi giorni, addirittura poche ore, di viaggio davanti, con la nostalgia che sorge sempre in prossimità della parola fine, penso che a Marco Polo 2010, potrebbe far seguito Cristoforo Colombo 2011, Vasco de Gama 2012 e, quello che mi piacerebbe di più, James Cook 2013.

Buon vento a tutti.

Elisabetta Eördegh

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