Un inferno di umidità

Ieri pomeriggio, grazie a un permesso speciale, siamo stati condotti nell’ecosistema più incredibilmente torrido e umido in cui fossimo mai capitati in vita nostra: la sala della bollitura dei bachi da seta della più antica fabbrica del paese, costruita 80 anni fa e oggi fabbrica statale.

Qui, 350 tra operai e impiegati producono fili, tessuti e tappeti per il mercato interno e per l’estero (ma per noi ancora no). Un direttore gioviale ci guida nella “sala macchine” della fabbrica e ci spiega, orgoglioso, i suoi record: 100 tonnellate di seta l’anno e filo di insuperabile qualità “perché i bachi turkmeni, che importiamo da quattro regioni del paese, sono i migliori.”

Le fasi prevedono la pulitura del bozzolo, l’uccisione al vapore del baco al suo interno, che potendo uscire spezzerebbe il prezioso filamento, la bollitura del bozzolo e infine la dipanatura del lunghissimo filo bianco (ogni bozzolo di 3-4 cm può dare più di un chilometro di prezioso filo). Con l’aiuto di spazzole rotanti, poi, una dozzina di fili vengono intrecciati tra loro per ottenere il filo industriale. Foto fabbrica e fasi lavorazione nell ordine descritto: pulitura, bollitura, dipanatura.

Pur vivendo da qualche giorno nel clima più caldo dell’Asia, e forse del nostro viaggio, la temperatura a cui lavorano gli addetti alle fase bollitura-arrotolamento ci è sembrata insostenibile per più di 15 minuti. Eppure, ci lavorano, per 8 ore, con soli 45 minuti di pausa. “True heroes!” diciamo quasi all’unisono al direttore. Lui sorride e non aggiunge altro. A noi, appena torniamo l’aria aperta, è sembrato di sentire perfino fresco.

Dopo la visita alle salette munite di ventilatore in cui si tessono abito e tappeti (ma perché nell’inferno tropicale non c’è niente di simile?), assistiamo alle prove di una compagnia statale di ballo tradizionale. Come mai proprio qui? La fabbrica è loro sponsor ufficiale, ci dicono. Forse, però, è tutto combinato. Comunque, sono bravissimi.

Tornando “a casa”, la città degli uomini e delle donne di questa città sfila finalmente sotto i nostri occhi. I palazzi non sono più quelli da set cinematografico in cui siamo confinati; sono condomini veri. Squadrati, anche un po’ malandati, ma circondati da alberi alti e ombrosi. Forse Ashgabat non è la città marmorea e irreale che appare al primo sguardo, ma non abbiamo tempo di dargliene un altro: domani mattina partiremo presto verso nord-est per Mary, sulla via per Bukhara, dove visiteremo le rovine di Merv.

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