Tra antichi gelsi profumati e aspiranti donne chirurgo
Stamane raggiungiamo il villaggio Porshenev, a 15 minuti da Khorog, per altri test.
Lasciate le jeep su una stradina di fango, tra muretti di pietra a secco che farebbero pensare a case rudimentali, ci addentriamo invece nel grande frutteto-giardino fiorito della casa fresca e accogliente di Usnoro Kodirova, veterinario, membro di Terra Madre e colonna portante di una famiglia di 5 figlie e marito medico.
Moira, rappresentante di Terra Madre nel GBAO (Gorno- Badakhshan), ci presenta tutti con una vivacità e un’animazione straordinarie. Anche qui pare siano tutte donne, o quasi. Sarà il clima frizzantino, sarà l’atmosfera di ripresa economica che in questi ultimi anni ha coinvolto il GBAO, ma qui le donne sembrano più intraprendenti e risolute del solito. E forse sono loro, anche a giudicare dal piglio della presentazione di questa mattina da parte di Favziya, nuora di Usnoro, la vera avanguardia dello sviluppo di questa regione.
O forse, è vero solo in parte, e, semplicemente, gli uomini sono via per lavoro: le rimesse degli emigrati, in questo paese, equivalevano fino a qualche anno fa all’intero bilancio nazionale.
A ogni modo, una figlia studia per diventare medico e poi specializzarsi in Germania; l’altra – oggi ne conosciamo solo due – non riuscendo a trovare lavoro come biologa, si è data ai gelati che produce insieme a un’amica, con una macchina turca. Un’altra ancora sta per tornare dall’India, dopo aver terminato un master in business administration. Oltrepassiamo una veranda fresca, ombreggiata da una vite rigogliosa, ed entriamo in una bella sala spaziosa, costruita, come è tradizione, intorno a cinque colonne di legno dedicate a Maometto, ad Alì, a Fatima e ai due figli di Maometto. Una sala multi-tasking, ci tiene a dirci Favziya: “Non usiamo avere, come voi, una stanza diversa per ogni diverso uso. Qui c’è spazio per gli ospiti, per lo studio, per il risposo, per il sonno, per i pranzi e le cene.”
E da oggi, penso, anche per campionature di stravaganti genetisti. Dietro le colonne ci sono altrettante zone rialzate e nel centro una piccola stufa. Su una parete troneggia, naturalmente, il ritratto di Karim Aga Khan, leader spirituale ismailita, discendente diretto di Maometto, 49mo imam e artefice principale della rinascita di quest’isola felice, in uno dei paesi più poveri dell’Asia e del mondo.
A giudicare dal resto del Tajikistan – non abbiamo visto molto, ma un’idea ce la siamo fatta – il cambiamento generato qui, in soli 15 anni, dal sostegno dell’Aga Khan Foundation dev’essere stato enorme.
“Tutto ha avuto inizio nel 1995 – ci dice Favziya – quando l’Aga Khan ha cominciato a sovvenzionare progetti di sviluppo soprattutto nell’ambito dell’educazione e delle infastrutture, oltre che qui in Pamir anche a Dushanbe, Almaty in Kazakistan e Biskek in Kirghisistan. Grazie al suo grosso contributo stanno nascendo campus universitari di ottimo livello. Moltissima importanza viene data alla formazione dei giovani. Gli investimenti vanno naturalmente anche alle strade, alla distribuzione dell’elettricità che qui manca per diverse ore al giorno.”
Ecco perché stamane abbiamo tentato inutilmente di inviare una mail, e stanotte non abbiamo avuto acqua per ore!
I ricercatori si distribuiscono un po’ qua un po’ là con il loro armamentario. È tutto talmente piacevole, in questa ridente casetta, che non si fa fatica a trovare un angolino prefetto dove sistemarsi e cominciare la campionatura.
Allegre e incapaci di stare in disparte, le donne non possono fare a meno di suggerire mentre fanno il test dei colori; ma Pio, che non intende fare test collettivi, cerca come sempre di imporre una disciplina.
La comunità è quella dei produttori di cibo tradizionale ma ciò che più colpisce palato e fantasia sono le dolci e saporite more di gelso da cui si ricavano un mare di preparati: un’originale farina per dolci, marmellata, zollette dolcificanti e altre leccornie mai assaggiate come il pikht, un dolce preparato con more secche e talvolta con noci e mele, o con uova, burro e zucchero. Assistiamo al pestaggio delle more secche con una grossa pietra di fiume e alla loro riduzione in farina al suono di un pappagallo canterino…Il giardino di proprietà di due famiglie sul retro sembra un piccolo paradiso: albicocchi, meli, peri, gelsi – ce n’è anche uno secolare – sparpagliati su un pratone scosceso di fiori giganti di trifoglio. La padrona di casa mi prende per un braccio e mi porta a vedere della frutta a seccare su una tettoia variopinta dove scopro che il seme dei noccioli di albicocche si mangiano come fossero mandorle.
È ora di pranzo. Sono comparsi due uomini che aiutano le donne a preparare il pranzo e ad allestire la tavolata nella veranda dalle pareti dipinte. “Il plov – esclama Paolo entusiasta – … è il migliore assaggiato fino a oggi dall’inizio della nostra avventura!”. “Dice ogni volta così” sorride Maddalena; ma lui insiste “È meno grasso e meno dolce e comunque il più buono”. Secondo me è un po’ condizionato dal contorno: le persone sono squisite, gli ambienti profumano e noi ci stiamo finalmente rilassando, dopo qualche giornata davvero troppo dura.
Nel pomeriggio, ci tratteniamo ancora un po’ per parlare con Usnoro: siamo curiosi di sapere che cosa l’ha spinta a diventare membro di Terra Madre. “Alla fine della guerra civile degli anni novanta, la gente non aveva più il problema del cibo (durante la carestia le more di gelso riuscivano a tamponare la fame) e così prese a tagliare gli alberi di gelso che richiedono cure e manutenzione. Usnoro decise allora che bisognava fare qualcosa per salvarli: con la scomparsa dei gelsi sarebbe andata perduta anche la possibilità di resuscitare un antico e prezioso sapere andati via via affievolendosi anche durante la dominazione sovietica, che impose la coltivazione dei gelsi per alimentare la sola produzione di seta.” A farci da interprete è Favziya, impegnatissima formatrice prima alla Aga Khan Foundation poi all’American Corner che, non volendo essere da meno del leader ismailita, ha cominciato a sostenere anch’esso programmi di sviluppo.