Riti di passaggio e stufati regali a Sis

A un passo dalla casa dei nostri ospiti, si svolgono i preparativi collettivi per l’ingresso nella comunità di due giovani del villaggio. “Wedding” lo chiamano all’inizio, ma capiamo che si trattava di una circoncisione.
Alle 4, sarebbero arrivati 200 invitati, ma noi putroppo non possiamo restare (da Baku ci separano 3 ore di viaggio).

Nel corso della mattinata assisitiamo però alla preparazione del banchetto, che dura già da qualche giorno. Donne e uomini della famiglia e del vicinato sono intenti ciascuno nel suo compito. Ci sono anche le due signore che hanno preparato il nostro plov di ieri, perché qui ci si aiuta tutti, tutte le volte che serve e anche molte di più. Che cos’è, in  fondo, la Banca del Tempo se non la riesumazione di usanze di chi sapeva cooperare quotidianamente e in ogni circostanza e per questo sapeva vivere meglio?

Sopra un fuoco vivace, dentro tegami giganteschi sistemati  nella grande aia tra galli che si acciuffano e bambini che scorazzano ridenti, vengono stufati, ma sarebbe meglio dire crogiuolate, pomodori, frattaglie, cipolle, pezzi di manzo e pollo, che infine diventeranno un magnifico piatto unico, anche questo chiamato “il piatto nazionale”.


Non vediamo la frutta secca di ieri, ma non c’è dubbio che sia anche questa una pietanza da occasione speciale (forse una variante del plov). Anche la grande tenda rettangolare dove si svolgeranno i festeggiamenti è chiamata “national room wedding”: evidentemente, l’aggettivo “nazionale” è perfetto per dire tutta l’importanza che si vuole dare a qualcosa. Ci invitano ad entrare sorridendo e facendo cenni con le mani e ci offrono il tè. Vorrebbero sapere, capire che ci fanno degli stranieri in questo posto sperduto tra le montagne.

Ma parliamo lingue diverse, ed entrare nel dettaglio è difficile. Una donna, però, ci sente e si avvicina. Insegna inglese in un liceo di Baku e il sorriso sdentato non le impedisce di accoglierci con l’entusiasmo di chi, grazie alla lingua, sa di poter entrare in contatto molto di più. I festeggiati sono suoi nipoti. 

Ha un figlio in America, un altro soldato, una sorella che si è innamorata di un italiano e le ha detto “siamo proprio simili, azeri e italiani”. Insiste con garbo che ci fermiamo almeno per pranzo, ma come al solito dobbiamo inseguire il tempo che corre.

Uno dei patriarchi della famiglia discute all’ombra degli alberi. Penso a che cosa potremmo scoprire di somiglianze e differenze se restassimo qui un poco di più.

Mentre, sotto inostri occhi, vediamo il gusto all’opera, nella casa accanto lo sguardo dei genetisti indaga le sue ragioni profonde.

Daniela Rocco

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