Paese che vai frontiera che trovi

Qui in Uzbekistan si fa pausa pranzo anche al confine, e visto che oggi si festeggia l’indipendenza, il passaggio chiuderà a una certa ora. Perciò, per dare inizio all’esodo in tempo utile ad entrare indenni in Kazakistan (non vorremmo restare intrappolati nella terra di nessuno proprio a mezzodì) programmiamo di salutare Tashkent di mattina, senza indugiare troppo.
Al momento di partire, però, restiamo bloccati per mezz’ora in hotel per sopraggiunto coprifuoco: visti i festeggiamenti, c’è il Presidente in transito, il pullman che sta venendo a prenderci è bloccato a due incroci da qui, le strade sono interrotte per tutti, e non possiamo raggiungerlo a piedi.

Approfitto per fare un breve training autogeno e prepararmi spiritualmente al fatto che saliremo sul treno che ci porterà ad Almaty, saltando a pie’ pari la doccia salvifica che di solito ci ridà il buon umore dopo i faticosi passaggi.
Per fortuna, al confine, il tratto da fare a piedi tra un paese e l’altro è asfaltato e tutto fila inaspettatamente liscio. Una volta al di là, viaggiamo in un paesaggio nuovo, stepposo e desolato. Incrociamo quella che alcuni dicono essere l’Arca di Noè (tutti i paesi che abbiamo visitato ne rivendicano una) che, per una questione di accessibilità, è stata spostata dalla grande montagna alla nostra destra a un collinozzo sotto il nostro naso.
Abbiamo perfino il tempo di pranzare, se non di rinfrescarci, e alle sei saliamo speranzosi i gradini del nostro treno alla stazione della città di Chimkent. Nel giro di pochi istanti, ci rendiamo conto che dovremo stiparci, noi e i bagagli, in vagoni letto striminziti con finestrino che si apre per un solo quarto e senza aria condizionata. Ci sono circa 40 gradi. Che siano percepiti o reali, è un brutto momento. Ma quando Nazira, la nostra guida kazaka, ci rassicura che di notte la temperatura si abbasserà notevolmente, lo sconforto quasi si dilegua. I nostri vicini hanno le facce tonde, larghe e inconfondibili dei pronipoti di Gengis Khan. Cerco nei loro occhi l’insofferenza per il caldo insopportabile. Certamente lo soffrono anche loro, anche se non trapela affatto.
Nell’attesa, cantiamo, guardiamo un film sui fidati mac e infine crolliamo sognando refoli di vento fresco. Sobbalziamo nel dormiveglia fino a notte fonda, quando arriva a consolarci l’escursione termica che ci fa perfino rabbrividire.

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