Nakhshirgele
Ieri, cinque di noi si sono diretti alla comunità di produttori di vino di Nakhshirgele, nella regione di Imereti, a 4 ore circa di auto da Tblisi. Perché proprio qui? Vinificatori antichissimi, i georgiani mettono a fermentare il vino e lo conservano in grandi “anfore” appuntite di terracotta che infilano sottoterra (kvevri). Il progetto di TerraMadre è di sostenere chi sceglie di resistere all’agricoltura convenzionale e di mantenere viva la tradizione aiutandolo a commercializzare il vino in modo soddisfacente. Impresa piuttosto ardua, vista la concorrenza spietata delle tecniche industriali di vinificazione che mirano a una maggiore produttività. Ma la sfida si fonda sulla convinzione che l’agricoltura tradizionale porti con sé molti altri vantaggi, come una maggior qualità, un uso più sostenibile del suolo, la conservazione della biodiversità.
Ad ospitare il team scientifico a casa sua è proprio Ramaz, uno dei meravigliosi rappresentanti di TerraMadre in Georgia, disponibile e accogliente come praticamente tutti, in questo paese. Sotto un sole cocente, accomodati sotto gli alberi di un grande giardino, ci accoglie la famiglia intera: moglie, nonni, zii e nipoti, oltre a una ventina di abitanti del villaggio che collaborano alla ricerca facendosi testare e nell’attesa sorseggiano vino dorato.
Il lavoro di campionatura – mi spiegano Pio, Giorgia e Nicola – consiste nel sottoporre le persone ad alcuni test tra cui quello del gusto, che serve a verificare eventuali legami fra gusti e predisposizione genetica, grazie all’incrocio dei risultati con quelli del test genetico. Tema piuttosto interessante anche per i comuni mortali come me, poiché si domanda, in parole povere, che ruolo abbia il Dna nel determinare il gusto: perché ci piace quello che ci piace?
Posto che non è in discussione l’influenza della cultura, come il fatto che ciò che mangiamo dipende ovviamente moltissimo dal contesto in cui viviamo (che a noi, per esempio, permette di mangiare praticamente tutto, mentre a chi vive di economie tradizionali, meno), il valore della ricerca sta almeno in due ragioni. Me le spiegano Nicola e Pio: “Innanzitutto, ci sono le possibili applicazioni cliniche: premesso che almeno nelle zone ricche mangiamo quello che ci piace, si è visto, per esempio negli Usa, che le persone che non sono in grado di avvertire una certa sostanza amara (contenuta nella mostarda, nel cavolo, nei broccoli, nei cavoletti di Brusselles, nel wasabi…) tendono a condire i cibi molto di più, e ad essere, perciò, molto più grasse. Conoscere questa differenza tra le persone ci può aiutare, per esempio, a produrre cibi e condimenti, o a dare indicazioni dietetiche, più adatti a un tipo di persona piuttosto che a un altro. Per le aziende alimentari ciò vuol dire, per esempio, poter elaborare cibi che soddisfino ugualmente il palato di queste persone senza farle lievitare o ammalare.” E queste sono le applicazioni industriali.
Poi ci sono i test dell’olfatto e della capacità di percepire correttamente il colore: provate a tapparvi naso e occhi davanti a una pietanza fumante! Oltre a essere “un atto agricolo”, infatti, mangiare è un atto sensuale in cui si mettono in gioco tutti i sensi. A ciascuno poi, e siamo al test genetico, viene prelevata un po’ di saliva che contiene cellule della bocca da cui ricavare il Dna. Infine, tutti vengono immortalati per permettere ai genetisti di incrociare i dati somatici col Dna e cercare di capire che geni stanno dietro occhi, capelli, naso, mento, loro forme, simmetrie, distanze
Sotto un pergolato ombroso Giorgia ha misurato l’udito tra le galline, mentre Pio e Nicola, sistemati intorno al tavolo del salotto, le altre capacità percettive. Ma senza l’assistenza preziosa di un paio di locali, eletti all’istante interpreti facilitatori, la campionatura sarebbe durata non 5 ore, ma quasi il doppio.
Nel frattempo, Nestani, la dolcissima moglie di Ramaz, preparava una cena tradizionale da leccarsi barba e baffi, puntellata dagli inevitabili e calorosi “brindisi all’anfora” che finiranno per intrattenerci, malgrado la stanchezza, fino a tarda sera. Ho contato come minimo una ventina di elaborati “tost”, inaugurati dal tamada o leader della tavola: all’immancabile amicizia tra genti e paesi (il primo è sempre dedicato alla pace), all’altra metà del cielo, ai bambini scommessa per il futuro, alla famiglia, agli amici, a coloro che non ci sono più, a coloro che verrranno, all’incontro con gli italiani… Si capisce che si tratta di schemi risaputi, quasi dei “ritornelli”, ma le varianti che prendono vita grazie all’ispirazione e alla simpatia scoccate in una manciata di ore, ci sorprendono tutte le volte.
Daniela
Grazie per la vivacità delle descrizioni. Mi emoziono alquanto immaginando l’amica Giorgia mentre misura l’udito tra le galline ! A quando la misurazione di quello delle cicale ?
Anna A.