Khorog sotto la patina

Prima del party organizzato dai nostri simpatici autisti – pure loro colpiti dal malefico morbo dei sette laghi – facciamo un giro nei paraggi del nostro Hotel indiano.
Appena lasciata la strada principale di Khorog, entriamo in una periferia depressa. A parte poche sparute palazzine rimesse a nuovo in stile badakhshani, questa cittadina è piuttosto smandrappata. Gli investimenti e le risorse, penso allora, andranno tutti in beni immateriali, come si dice; in formazione, scuole e borse di studio. Poche grandi opere, nessuna facciata. Nonostante tutto, forse, è la strategia più sensata. Oltre al fatto che qui, le cose da fare sono talmente tante che ci vorrà un bel po’ perché la regione si risollevi dalla povertà. Ieri, in quella bella casa di super donne, eravamo davvero in un’isola felice in mezzo a un’altra “isola”, quella del GBAO, dove certo scorre linfa nuova che in altre regioni del Tajikistan non c’è, ma pare siano in aumento anche i suicidi. Le crisi non perdonano se benefici e i vantaggi del nuovo corso non vengono distribuiti. Un altro segno di questo gap è la differenza tra uomini e donne che incontri per strada: i primi hanno un‘aria da disperati, spesso pure alticci: sono quelli che non hanno trovato lavoro in Russia. Le seconde, colorate nel loro abito tradizionale a fiori con tunica e pantaloni, sono sempre iperattive: sono loro a mandare avanti la famiglia.
Poi c’è il ponte con l’Afghanistan, costruito anche questo dall’Aga Khan. Una volta alla settimana gli afgani vengono di qua e i tagiki vanno di là: ciascuno può vendere le sue cose e getta così altri ponti.
A due passi dal nostro hotel, una banca del microcredito e l’Università dell’Asia centrale: tutti segni chiari della volontà di uscire dal pantano e dall’isolamento.

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