Incredibile Turkmenistan

La seta

In Turkmenistan c’è il Ministero dei Tappeti. E al vice ministro in persona, il fiduciario di Slow Food di Ashgabat ha dovuto chiedere il permesso speciale per visitare un’azienda statale che lavora i bachi e produce la famosa seta turkmena, di cui sono fatte le stoffe nazionali. La seta turkmena, come tutto il resto, viene lavorata nelle aziende statali, perché qui la gestione dell’economia è ancora completamente centralizzata. Due giorni fa i nostri viaggiatori avevano visitato il Museo della Seta ed erano rimasti entusiasti. Così hanno chiesto se potevamo vedere la produzione. Non è stato facile organizzare la visita, ma ce l’hanno fatta e oggi pomeriggio andranno nella fabbrica.L’acqua e il deserto

Il Turkmenistan è molto diverso dagli altri due paesi già attraversati, Georgia e Azerbaijan, mi racconta Lilia Smelkova che è la rappresentante di Slow Food e Terra Madre al seguito della spedizione. Lei è anche orecchi e bocca degli scienziati, essendo l’unica che parla il russo rimasto, dai tempi dell’Unione Sovietica, la lingua che accomuna tutte queste popolazioni.

Il territorio del Turkmenistan è per l’80% di deserto e quindi c’è una grande carenza di acqua, mentre in Georgia e Azerbaijan non esiste questo problema. In tanti casi non devono nemmeno irrigare i campi. Qui invece l’irrigazione è artificiale, attraverso il canale di Kara Kum che oggi viene chiamato fiume. L’acqua arriva dal Kazakistan e attraversa 1300 chilometri di deserto: in questo lungo tragitto viene perso oltre il 50% di acqua che viene assorbita nel terreno o evapora. “Ieri siamo stati nel villaggio Bokurdak che da circa 1000 anni è un posto stanziale di gente che prima era nomade: vivono sia nelle iurte, che usavano una volta per spostarsi, sia nelle case, — racconta Lilia. — Lì vivono solo dell’acqua che arriva dal canale e di alcuni pozzi. Attraversi queste vaste distese di dune e sabbia, e a un certo punto trovi una piantagione di angurie vicino a un pozzo che irriga il terreno, una piccola oasi…”

Il canale, o fiume, ha un colore abbastanza pulito fintantoché scorre nel deserto e quindi a cielo aperto, come un vero fiume, ma quando arriva a irrigare i campi viene intubato, e le tubature sono arrugginite: l’acqua che arriva non è potabile ma va bene per le coltivazioni. In Turkmenistan l’agricoltura è basata su distese ampie e l’offerta è gestita in modo centralizzato, non è il contadino a fare la scelta ma è lo stato a decide che cosa si coltiva. Coltivano grano, che ha meno amidi rispetto all’amido kazako ma costa un terzo, e va molto bene per fare il pane che loro chiamano churek e cuociono in forni rotondi con la legna dentro. “Poi coltivano uva con la quale producono vino e cognac anche se è un paese musulmano e il consumo di alcolici è ovviamente molto basso. Ieri è cominciato il ramadan, e nel villaggio di Bokurdak la nostra coordinatrice voleva farci assaggiare del vino fatto in Turkmenistan e del cognac ma noi non l’abbiamo assaggiato per rispetto. Molti sono osservanti e la famiglia che ci ospitava non si è unita a noi per mangiare, anche se noi abbiamo insistito. Non abbiamo capito perché: se perché l’ospite, soprattutto se arriva in gruppo, viene servito separatamente, oppure per la questione religiosa,” dice Lilia.

La gente accetta volentieri la gestione statale dell’economia. “Il nostro autista oltre a fare l’autista ha una grande coltivazione di pomodori: vende 5 tonnellate di pomodori all’anno in Russia. Secondo lui lo Stato sa meglio che cosa serve e loro coltivano quello che viene chiesto e che sanno che poi venderanno senza problemi.”

Il confronto con Georgia e Azerbaijan

In Georgia e Azerbaijan la situazione è completamente diversa, e anche tra i due paesi ci sono a loro volta delle differenze importanti. “I rapporti di produzione tra il produttore e il consumatore e la catena alimentare sono legati al fatto che sono zone di montagna e gli appezzamenti dei contadini sono molto piccoli. Non riescono a fare la quantità. Quando c’era l’Unione Sovietica i contadini portavano la frutta e la verdura nei posti centralizzati dove ricevevano un compenso. Oggi invece il problema è proprio quello di accedere al mercato, essendo piccoli e avendo poca quantità da vendere, sia in Azerbaijan che in Georgia.”

Con una differenza. In Georgia ci sono delle ottime strade e le infrastrutture necessarie per le comunicazioni e non è difficile per i contadini arrivare nella capitale per vendere i propri prodotti. In Azerbaijan le strade non ci sono ancora, ma le stanno costruendo con i soldi del petrolio che sono arrivati negli ultimi anni.

Anche la mentalità della gente cambia di paese in paese. In Azerbaijan sono molto individualisti e non cooperano… quindi se proponi: “voi che fate il miele invece di svenderlo a un prezzo bassissimo perché non fate un’associazione?” così ci sarebbe la possibilità di suddividere i costi fissi, per esempio di andare alla capitale per vendere i prodotti, o comprare le sementi insieme ecc. Loro rispondono “No, non fa parte della nostra cultura”. Alcuni sono proprio diffidenti, altri non sanno lavorare in gruppo, dato che per tanti anni sono stati abituati ad avere qualcuno che diceva che cosa fare. Vent’anni dal distacco dall’Unione Sovietica non sono bastati per cambiare queste consuetudini radicate. Non è passata nemmeno una generazione.

Il buon esempio è quello che conta

“In Georgia è capitata una cosa molto positiva. La nostra comunità dei produttori di vino in anfora di Slow Food-Terra Madre ha creato un gruppo di produttori nelle zone di Imereti e Kashti e il responsabile di Kashti racconta che persino lui quando Slow Food gli ha proposto di fare un’associazione, anche informale con altri produttori, non ci credeva. Ma adesso nota che la gente intorno inizia a prenderlo come esempio. Quindi gli chiedono come fa, vogliono cooperare, vogliono imitare la sua esperienza, perché vedono che ha dato risultati positivi. La soluzione è quindi proprio un buon esempio, sia per le altre zone della Georgia che per l’Azerbaijan. Il ragionamento logico non basta se non fa parte della tua esperienza. Ci sono ancora i ricordi che una volta, ma si parla di centinaia di anni fa, quando i boschi in alcune regione della Georgia dell’est venivano gestiti in modo comunitario. Oggi questa capacità è scomparsa e non ci sono nemmeno più i capi villaggio che lo facevano.”

Le bandiere prima di tutto

“Ci siamo stupiti dell’ospitalità delle comunità di Terra Madre: è la prima volta che veniamo in Turkmenistan, Slow Food non aveva mai visitato le comunità e conoscevamo in modo superficiale solo alcuni delegati che avevamo incontrato all’incontro di Torino del 2008 o precedenti. Eppure ci sembra di essere in famiglia!”

È un viaggio che cambiara la vita a molti dei partecipanti. E come si comportano gli scienziati… “Sono attenti, — risponde Lilia. — Penso che sia difficile lavorare con le comunità che non sono abituate a vedere gli scienziati. In Azerbaijan e in Georgia hanno dimostrato una straordinaria sensibilità per le persone, e si sono adeguati a ogni circostanza. Fanno le campionature ovunque: sotto gli alberi, nella stanza della casa di un produttore di vino… In un paesino di 200 persone hanno usato una grande casa a tre piani, senza bagni e senza luce, abbandonata da tanto tempo, che era il Centro culturale quando il paesino era più numeroso… hanno posizionato le loro attrezzature sui tavoli, sui balconi, nei corridoi dove capita… occupando ogni spazio con le bandiere…”

Le bandiere… “Sì. La prima cosa che facciamo quando arriviamo in un posto nuovo mettiamo le nostre bandiere e lo spazio diventa nostro.”

Simona Cerrato

2 commenti

Nazim Narimanov12/8/2010 alle 18:21

Grazie

Nazim Narimanov12/8/2010 alle 18:28

Всем участникам экспедиции желаю благополучно добраться до Китая! Удачи и здоровья !

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