Tre giorni per avere il dato genetico
Con la sistemazione del Veracode sono riprese le analisi dei campioni di DNA.
Pio D’Adamo ci spiega che due sono i protocolli di processamento a cui vengono sottoposti questi campioni: l’Infinium e il Veracode.
Il primo permette di effettuare la genotipizzazione dell’intero genoma attraverso l’analisi dei 700.000 punti di variabilità che caratterizzano in modo univoco il DNA di una persona. Per capirci, è come scattare una fotografia dell’intero genoma e scoprire così la firma genetica dell’individuo a cui appartiene.
Il Veracode, invece, prende in esame solo alcune zone che, nel nostro caso, corrispondono ai geni del gusto, ma le analizza in modo più dettagliato.
Alla fine di entrambi i protocolli si ha la rilevazione del dato genetico sottoforma di fluorescenza: rossa, se indica una base del dna; verde, se si riferisce all’altra.
Abbiamo chiesto a Laura Esposito, tecnico di laboratorio del CBM che in questi giorni si sta occupando del processamento dei campioni di DNA, come funziona il Veracode.
“Sono in totale due giorni di lavoro pieno più uno di elaborazione dati ad opera del macchinario” ha esordito.
Day 1.
È il giorno del PCR, l’amplificazione del DNA, che consiste nel replicare il DNA in modo da poterlo poi analizzare il giorno successivo. Ed è anche il giorno più lungo. Il lavoro iniziato alle 9.00 di mattina non termina prima delle 19.30 della sera.
Come prima cosa, per facilitare le successive operazioni e ridurre la possibilità di errori, i campioni di DNA vengono messi su un’unica piastra in cui sono presenti 96 postazioni fisse. A questo punto un robot dispensa i diversi reagenti previsti dal protocollo in ognuna delle 96 postazione.
Un procedimento, questo, che potrebbe essere svolto anche manualmente e in un tempo minore. Ma allora perché viene utilizzato un robot?
“Si utilizza un robot perché c’è un minor rischio di errore. Inoltre, se il robot fa un errore (ad esempio invece di dispensare 1 millilitro di reagente ne dispensa 1,2 millilitro) farà sempre quello stesso errore e, di conseguenza, non verrà calcolato. Invece, se fatto manualmente, l’errore non sarà una costante ma sarà ogni volta diverso per cui tutti i dati risulterebbero sballati.”
Day 2.
La piastra con i 96 campioni di DNA viene sottoposta ad una serie di operazioni tra cui una centrifuga per togliere attraverso dei filtri tutti gli elementi di disturbo, e l’ibridazione, una fase che prevede di far rimanere per tre ore la piastra a 45 gradi.
Day 3.
E’ il giorno dell’elaborazione dei dati. La piastra viene inserita in un vero e proprio scanner in grado di rilevarne la fluorescenza e creare un file dati di fluorescenza grezza. La stessa macchina, poi, li elabora traducendoli in un file di dati che hanno un senso genetico e che quindi possono essere analizzati.
Una curiosità: come mai i campioni processati sono solo 480?
“Per essere processati con il Veracode è necessario che i campioni rispondano a dei requisiti. Non tutti i DNA possono essere processati. Devono avere una certa concentrazione ed una certa qualità”.
La concentrazione e la qualità dei campioni vengono verificati prima del processamento attraverso due diverse letture. La prima consiste nel caricare il DNA estratto su quadrato di gel di agarosio di 20x20cm e guardarlo con la fluorescenza. Un campione di qualità presenta bande nette e ben definite. Il secondo controllo viene effettuato attraverso il nanodrop, uno strumento in grado di calcolare la quantità di DNA estratto e comunicarlo attraverso un semplice file di testo. La quantità minima è di 50 nanogrammi ogni microlitro.