Fuoco, miele e vino
Sulla via per Eniel, a una quarantina di chilometri a nord di Baku è già Qobustan, cioè la terra (“stan”) del deserto (“Qobu”, assonante col “Gobi” dell’altra lingua turco-altaica, il mongolo). A metà strada, incontriamo un tempio del fuoco zoroastriano e assistiamo al rito musulmano del sacrificio della capra ad opera dei pellegrini in visita alla tomba di un santo sepolto qui. E il fatto che la religione degli adoratori del fuoco sia così diffusa in Azerbaijan, e che lo stesso nome del paese sia un omaggio alla nostra stella più grande (baijian vuol dire terra e azer fuoco), è facile da capire. Basta andare a mezz’ora di auto da Baku, nella penisola di Absheron, per vedere lo spettacolo delle sorgenti naturali di gas dalle quali scaturiscono fiamme eterne.
Ai piedi delle contrafforti del Caucaso, nel villaggio dove oggi si svolgerà la campionatura di un’altra trentina di persone, vive una comunità di produttori di miele. Prima di cominciare con i test, ci presentiamo come ogni volta; poi, alcuni di noi vengono guidati nel giardino delle arnie e lì assistiamo alla raccolta dei favi, alla raschiatura del miele e alla centrifugazione. Vorrebbero regalarcene un barattolo gigante da 3 chili, ma, pensando al quintale e più di bagagli che abbiamo dovuto trascinare nella polvere, alla frontiera tra Georgia e Azerbaijan, rinunciamo a malincuore e ne accettiamo uno minuscolo.
Sulla via del ritorno, ci fermiamo al primo piccolo campo sperimentale di coltivazione del vino con vitigni georgiani scelti in base alla natura del terreno locale, la prima dopo che Gorbacev fece estirpare tutto con la speranza di eliminare, oltre alle viti, anche la piaga dell’alcolismo.