C’era una volta Merv, la magnifica


Tutti conosciamo le antiche civiltà come la egizia, la sumera, la assiro-babilonese. Ma in pochi sappiamo che nel cuore dell’Asia centrale, vicino alla attuale Mary, si trovano i resti di centri abitati risalenti all’età del bronzo (l’area è nota come Gonur Depe) e di una città del VI secolo a.C. – e di una civiltà – altrettanto antica e fiorente: quella che localmente veniva chiamata Margush, e che i Romani latinizzeranno in Margiana.

Quanto fiorente e quanto magnifica fosse puoi intuirlo solo venendo qua e camminando tra le sue rovine. La città si è sviluppata per cerchi tangenti. E già soltanto il recinto dei bastioni dell’Erk Kala, la fortezza più antica, è di una vastità tale che, complice il vuoto pneumatico del cielo blu, lascia senza fiato. Le forme sono lunari: alcuni di noi hanno perfino pensato si trattasse di crateri lasciati da meteoriti e poi utilizzati dagli uomini.

Dopo esserci arrampicati sul crinale delle poderose mura – non sufficienti, però, a proteggere la popolazione dalla furia mongola, che passò a fil di spada 300.000 abitanti – ci aggiriamo in bus tra gli altri punti cospicui di quest’area archeologica, eletta dall’Unesco a Patrimonio dell’Umanità.
Passiamo per la collinetta che un tempo ospitava uno stupa buddista – che fa di Merv la città più occidentale raggiunta dall’espansione di questa filosofia – e veniamo a sapere che nel periodo dell’impero sasanide, qui convivevano pacificamente anche il cristianesimo nestoriano e lo zoroastrismo.

La visita tra forme lunari che meriterebbe una giornata piena, dura solo tre ore, scadute le quali è tempo di partire per il confine con l’Uzbekistan. Risaliti sul pullman, resta in tutti la sensazione vivida di aver avuto il privilegio di visitare un luogo eccezionale, di cui però da noi nessuno parla. Ma come è possibile?

I commenti sono disabilitati