Al di qua del fiume

Verso le 11.30, riprendiamo la strada per Khorog dopo che il team dimezzato dei genetisti (quasi la metà di noi è colpita dal mix letale di stanchezza-stress-malessere da cibo avariato-digiuno forzato-curve in velocità) ha visitato e testato una vivace comunità che pare composta di sole donne.

Qui, il clima umano è completamente diverso da quello sperimentato al nostro ingresso in Tajikistan, sui monti Fan. Là sui volti c’era serietà, mutismo, tristezza, dura essenzialità. Qua è un continuo sorriso da parte di tutti. Là le donne strisciavano rapide lungo i muri per esporsi allo straniero il meno possibile. Qua la loro solarità ti fa venir voglia di non andartene più.
Vista l’esperienza di ieri, dalla dichiarazione degli autisti che impiegheremo sei ore deduciamo che non saranno meno di otto. Perciò, nonostante il mal celato disappunto di alcuni (che rinunciano all’ammutinamento con ammirevole senso di responsabilità), decidiamo di portarci dietro pane e uova sode per saltare la pausa pranzo e arrivare prima del buio.
La pioggia di stanotte ci ha lasciato un’aria umida e pesante, ma almeno ha spazzato via la polvere afgana permettendoci di vedere al di là della strada. Subito ritroviamo i profili frastagliati, aguzzi e altissimi delle montagne che si affacciano sulla valle. Il percorso che stiamo facendo da ieri non è altro che la versione stradale del fiume che separa Tajikistan e Afganistan. Ergo, siamo a un tiro di schioppo dal paese di cui vediamo da anni solo immagini di guerra, lunghe barbe ricciute e donne velate. Sotto i nostri occhi scorrono invece villaggi ordinati, campi coltivati e orti verdissimi che spezzano di tanto in tanto la roccia e la steppa dorata. Il paesaggio è molto simile da entrambi i lati del fiume; la differenza è che da questa parte ci sono la strada e le auto; di là mulattiere, asinelli e uomini e donne in marcia.

Le sponde del fiume a strapiombo sull’acqua sono altissime. A tratti, invece, pare di toccare dall’altra parte. Così, le ore passano con la testa girata quasi sempre verso destra, a cercare con gli occhi tracce di vita tra le recinzioni di terra rossa delle case. Di tanto in tanto, scorgiamo uomini in abiti bianchi e neri con turbante, donne colorate, bimbi che giocano a pallone. Ci fermiamo: c’è un villaggio afgano davvero molto vicino. Scuotiamo le mani per salutare e ci rispondono. Fa una strana sensazione pensare che il Tajikistan abbia minato le sponde del fiume per evitare l’approdo di afgani dal paese in guerra. Ma il nostro autista, pare ex poliziotto o poliziotto part time, ci dice che le mine non ci sono più. In ogni caso, incrociamo di tanto in tanto due o tre giovani soldatini che pattugliano il confine.

Il fiume Panj è turbolento o palcido secondo i tratti e il paesaggio intorno è simile a quello di un grande canyon… Rocce piegate, formazioni affascinanti che sembrano lava rappresa… Un giorno, forse, questo fiume potrà essere disceso sul gommone.

Questo lungo viaggio sul confine è molto interessante, anche se alcuni di noi, purtroppo, se lo sono fatto con la febbre.

Per due o tre volte attraversiamo un ponte sull’acqua: per un istante ci confondiamo e pare di ritrovarci in Afganistan… Invece quelli che attraversiamo sono affluenti tajiki del lungo fiume, e ovviamente siamo sempre al di qua. Anche sul nostro versante incontriamo villaggi verdi e ben organizzati in orti e piccole piantagioni di gelso. A completare il quadro bucolico, ci sono pioppi, contadini nei campi che spingono un torello, mucche e galline sul bordo della strada. Ma quello che ci impressiona di più, forse, sono le ragazzine bionde, gli occhi chiari, i volti familiari.

Cominciamo ad essere davvero stanchi… Ma quando arriva Khorog?

I commenti sono disabilitati