A due passi dal traguardo
Oggi, a 45 minuti da Almaty, penultima campionatura. Dopo un mese o quasi di caldo torrido, una frescura frizzantina ci fa ben sperare. Via via che ci avviciniamo a destinazione, il paesaggio cambia del tutto: niente più steppa desolata ma campagna fluviale coltivata e rigogliosa. Per raggiugere gli allevatori di Akchi nel distretto di Kurtinsky, avanziamo verso sud est, parallelamente, seppure molto distanti, al confine con la Cina e con il Kirghisistan e alla grandiosa catena del Tien Shan chiamata dai cinesi “Montagna Celeste”, in cui spiccano due cime di 7000 metri o giù di lì: il Khan Tengry e il Pik Pobedy. Credo siano le montagne coperte di neve più alte che io abbia mai visto. Ma siamo troppo lontani, e l’emozione non è così forte come in Pamir dove potevamo guardare i picchi solo col naso all’insù, “sprofondati” com’eravamo nella stretta valle dei gelsi.
La comunità che visitiamo vive sulle rive di un fiume che pare una laguna, tra pioppi che ondeggiano al vento e grandi orti di cavolo, ortaggi e frutta. Alleva pecore, mucche e cavalli (i Kazaki sono tra le poche popolazioni al mondo ad allevarli per papparseli).
Per noi hanno organizzato una vera scampagnata: niente locali chiusi in cui sistemare ricercatori e assistenti devoti (le loro abitazioni sono sull’altra sponda), a parte due ampie tettoie con tavolata, sotto le quali gustiamo il rituale brunch al sentor di cavallo e dei suoi derivati: il kazy, il shuzuk e la karta, che sono tre tipi di salsicce di cavallo; e il latte, o kumys. La carne è appetitosa, ma il latte cavallino (o è di asina?) è talmente fermentato, salato e forte da essere praticamente imbevibile, almeno per noi.
In attesa del pranzo, i ricercatori si sistemano ai tavoli tra verdurine e baursaki, una specie di gnocco triangolare fritto, e cominciano a testare una trentina di persone. In mancanza di un locale silenzioso, Giorgia sistema audiometro e cuffie nell’abitacolo di un’automobile.
Un po’ in disparte, sono accese tre “cucine da campo” a legna, a forma di grandi stufe tondeggianti con tanto di comignolo. Su tutte e tre, in un gigantesco tegame coperto, un simpatico vecchietto e sua moglie in abiti tradizionali stanno bollendo tocchi di pecora e cipolle a cui aggiungono della pasta spianata fatta con farina e brodo. È il piatto nazionale kazako, il besbarmak o “piatto dalle cinque dita”, che si prepara per i matrimoni, le feste comandate e gli special guest, e si serve in un piattone su un letto di quadratoni di pasta. Si mangia prendendo con le mani questi quadratoni dove, con movimento sapiente delle cinque dita, si raccoglie la carne e si porta il fagottitno alla bocca. Brodo a parte, grassissimo ma buono. E al most honorable guest, ovvero a Paolo Gasparini, tocca la testa dell’ovino. Dovrà distribuire la cotenna, come è tradizione, a tutti i commensali.
Dopo pranzo ancora test; e poi, via, verso la pazza folla di Almaty.
Mi sa che stasera salterò la cena per mettere a posto gli appunti, fare un po’ di bucato e… digerire. Domani, sveglia alle sette per l’ultima campionatura, a 80 chilometri da Almaty.