La Colchide del Vello d’Oro
Come novelli Argonauti oggi ce ne andiamo per la Colchide. Così si chiamava al tempo dei Greci la Georgia occidentale, ovvero la metà del paese affacciata sul Mar Nero, mitico teatro d’azione di Giasone e dell’equipaggio della nave Argo.
Ma che cosa avrebbe spinto qui Giasone e i suoi? “Il vello d’oro”, naturalmente! Sì, la risposta è esatta, ma anche un po’ automatica… Che cosa stesse esattamente dietro la leggenda e perché ‘sto vello interessasse tanto ai greci, forse ci sugge.
Secondo alcuni, il mito del vello d’oro, cioè della pelle di ariete di montone, rappresenta l’esplorazione verso est dei primi marinai greci andati alla ricerca dell’oro, materiale che, nella penisola greca, scarseggiava. A testimoniare il nesso tra pelle del montone e oro starebbe il fatto che, ancora in epoca moderna, tra i monti del Caucaso vivevano pastori seminomadi che si dedicavano anche alla raccolta nei torrenti di pagliuzze d’oro, setacciate grazie alla pelle di ariete.
I greci erano così interessati a questa regione che vi fondarono tre colonie – Fasi, Gyenos e Sukhumi – tra il VI e il V secolo a.C. Nonostante l’apertura di traffici marittimi regolari, nell’immaginario greco la Colchide restò comunque il finis terrae orientale del loro mondo immaginato.
Il mito del vello d’oro, però, potrebbe avere un’altra spiegazione. Le cui basi si trovano andando qualche passo più in là sulla Via della Seta, in Turkmenistan. Qui, una tradizione pastorale vuole che qualche pecora (pare non più di una quindicina l’anno) partorisca i cosidetti “agnelli di fuoco”, o “agnelli d’oro”. Si chiamano così perché, subito dopo la nascita e per qualche minuto, il loro vello brilla di luce propria nel buio della notte. E, una volta esauritosi l’effetto luminoso – probabilmente dovuto a batteri luminescenti – il vello prende un colore dorato di rara bellezza.
Ebbene, c’è da chiedersi se la notizia dell’esistenza di questi agnelli, magari diffusi anche tra i monti del Caucaso, non sia giunta alle orecchie dei Greci. E non sia servito da spunto leggendario per parlare di una terra ricca di ricchezze misteriose. Ricca, cioè, di cose ancora ignote, e che per ciò stesso andavano raggiunte e “possedute” in termini non solo materiali.
Dopo tutto, è proprio qui, nella Colchide, che i Greci ambienteranno un altro mito. Quello di Prometeo, condannato dagli dei ad avere il fegato roso quotidianamente da un aquila per aver rivelato agli uomini il segreto del fuoco. Per aver disvelato loro la via della conoscenza.
Quella stessa conoscenza che, stavolta in termini genetici, noi andiamo cercando sulla Via dell Seta.
Diego Maria Rossi