Nella notte del 26 aprile del 1986 esplode il reattore numero 4 della centrale elettronucleare di Chernobyl. A quattro chilometri di distanza dorme la popolazione di Pripjat. Né al momento dell'incidente, né nei giorni successivi gli abitanti della zona vengono informati sulla gravità dell'evento; medici e militari non sono autorizzati a esprimesi sull'accaduto e a diffondere sui livelli di contaminazione.
Intanto una nube radioattiva rapidamente attraversa la Polonia, raggiunge le coste della Svezia dirigendosi verso l'Europa; i livelli di radioattività improvvisamente riscontrati allarmano il mondo intero. Le fiamme dell'incendio vengono spente solo 10 giorni dopo, il 6 maggio. Ma l'incubo non è ancora finito: quando il reattore è ormai sepolto il pericolo di una nuova esplosione che avrebbe potuto rendere inabitabile gran parte dell'Europa viene scongiurato solo grazie all'intervento di alcune squadre di volontari. Il 14 maggio il segretario del Partito comunista sovietico, Michael Gorbachev, comunica al mondo l'accaduto e dichiara: "Per la prima volta ci siamo effettivamente trovati faccia a faccia con la terribile potenza dell'energia nucleare incontrollata".
Dopo l'incidente l'opinione pubblica guarda con occhi nuovi al nucleare. Mentre alcuni scienziati occidentali si affrettano a spiegare le cause dell'incidente con l'inefficacia della tecnologia e dei sistemi di sicurezza sovietici e affermano che "da noi l'incidente non sarebbe mai potuto accadere", molte manifestazioni pubbliche rivelano la sfiducia della gente verso la tecnologia nucleare. In Italia nel novembre del 1987 un referendum popolare dice no al nucleare e a un intero settore di ricerca.
Mentre negli anni Cinquanta e Sessanta l'energia nucleare veniva presentata come una grande conquista del progesso tecnologico e sociale, Chernobyl sembra infrangere definitivamente il mito della scienza chiusa in un palazzo di cristallo e capace di dominare l'incertezza. Nel brano tratto dal libro Le mele di Chernobyl sono buone (Sironi Editore, 2006), Giancarlo Sturloni racconta e commenta il dibattito pubblico sul nucleare che si è sviluppato nel mondo dopo Chernobyl.
A vent'anni di distanza dalla catastrofe l'energia nucleare viene proposta da alcuni politici e da parte della comunità scientifica come possibile fonte energetica, e da alcuni addirittura come una soluzione ai problemi climatici del pianeta. A differenza della combustione di fossili l'energia nucleare non produce i gas serra responsabili dell'innalzamento della temperatura del pianeta.
Ma è vero che oggi le centrali nucleari sono sicure? È possibile trovare una soluzione al problema delle scorie? La redazione della trasmissione radiofonica Che fine ha fatto Sedna (Radio Fragola, Trieste) ha posto queste domande a due esperti: Massimo Zucchetti ingegnere nucleare del Politecninco di Torino e Giuseppe Onufrio, direttore delle campagne di Greenpeace Italia. Cliccando sul nome degli esperti potete ascoltare le loro voci. Il percorso di domande Centrali nucleari: come, quando e perché risponde ad alcune domande che il pubblico di Ulisse ha inviato sulla questione nucleare.
A parlare di nucleare e di Chernobyl sono anche il teatro e la letteratura, che attraverso in linguaggio dell'arte ci raccontano le storie delle persone che vivono sulla loro pelle i rischi e le consequenze della contaminazione radioattiva.
Ulisse propone la lettura di un estratto del racconto Lotteria nucleare di Francesco Feola, vincitore della prima edizione del concorso di drammaturgia scientifica Co_scienze organizzato da Città della Scienza di Napoli; il racconto verrà pubblicato prossimamente in versione intregrale dalla rivista "Nuovi argomenti". Chi può permettersi inoltre una gita a Torino la rubrica Scienza e Gita di Ulisse ricorda che dal 26 al 30 aprile è in scena lo spettacolo teatrale RBMK dedicato al disastro di Chernobyl, prodotto dall'associazione 32 Dicembre con la fondazione del Teatro Stabile di Torino.
Risponde sul problema della sicurezza delle centrali e delle scorie.
Un brano da Le mele di Chernobyl sono buone di Giancarlo Sturloni