Difficile crederci, ma uno studio recente dimostra che possediamo un senso innato dell'uguaglianza, che ci obbliga a ridistribuire i beni dei ricchi fra i più poveri – anche a nostre spese
In giochi da laboratorio, i partecipanti più poveri cedono parte dei propri averi al semplice scopo di penalizzare gli avversari ricchi, senza alcun beneficio personale.
James Fowler dell'Università of California di San Diego, USA, ha reclutato centoventi studenti volontari. Nell'esperimento ogni studente stava seduto davanti a un computer e giocava insieme ad alcuni altri partecipanti anonimi (“Nature”, DOI: 10.1038/nature05651).
All'inizio di ogni turno il computer assegnava al giocatore un certo guadagno – 12, 16, 24 o 36 gettoni. Sullo schermo erano indicate le somme possedute dallo stesso partecipante, ma anche quelle di tutti gli altri. Nello studio Fowler ha definito “ricchi” i giocatori con la somma maggiore entro un gruppo, e “poveri” quelli con la cifra più bassa.
Gli studenti dovevano dichiarare come volevano impegare i propri gettoni. Ogni gettone che veniva tenuto per sè contribuiva con 0,05 dollari alla somma che sarebbe stata incassata alla fine del gioco. Per esempio uno studente che si teneva 20 gettoni, alla fine del gioco avrebbe guadagnato 1 dollaro. I partecipanti però potevano anche usare i propri gettoni per aumentare o diminuire la somma in possesso agli altri tre partecipanti. Ogni studente completava cinque turni di gara, confrontandosi ogni volta con tre nuovi avversari.
In circa il 30% dei casi, i giocatori ricchi rinunciavano ai propri gettoni per dare una mano agli altri. Nel 12% dei casi invece usavano le proprie somme per renderli ancora più poveri. Nel 44% delle situazioni di gioco al contrario, i giocatori più poveri rinunciavano al piccole somme per far sì che i ricchi perdessero un po' di denaro. Non si comportavano però come il leggendario Robin Hood, perché i soldi presi ai ricchi non venivano poi ridistribuiti. Queste somme semplicemente sparivano.
In alcuni esperimenti precedenti non si era mai fatto in modo che in ogni turno di gioco il partecipante si confrontasse con avversari nuovi e anonimi. In questi studi le persone di solito usavano i loro soldi per punire i più ricchi e i più poveri fra i contendenti. Fowler ha eliminato il “fattore vendetta” mascherando l'identità dei giocatori, rendendo loro impossibile il fatto di crearsi una reputazione, buona o cattiva.
Fowler pensa che i partecipanti del suo esperimento si comportano in modo da promuovere la pura eguaglianza economica – e non per ottenere vendetta. Secondo lui i risultati complessivi dello studio indicano che l'essere umano ha un “piacere innato per l'eguaglianza”.
“I comportamenti osservati ampliano la conoscenza sulle motivazioni delle nostre decisioni politiche ed economiche,” osserva l'economista Chetan Dave dell'Università del Texas a Dallas, USA.
“Uno dei motivi per cui cooperiamo potrebbe essere che per noi l'uguaglianza è importante,” dice Fowler.
“La distribuzione non equa delle risorse è percolosa perché favorisce gli scontri” dentro al gruppo, osserva l'economista Robert Frank della Cornell University di Ithaca, a New York, USA. Frank aggiuge anche che la capacità di evitare questi conflitti potrebbe averci dato un vantaggio evolutivo. Anche se ammette che il mondo reale è pieno di queste ingiustizie.
Roxanne Khamsi
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