Giovedì 17 luglio
La colata da vicino
Non contenti di avere ammirato l’eruzione dell’Etna dalla comoda postazione dell’Adriatica, oggi andremo a vederla da vicino… da abbastanza vicino. Proprio vicino non si
può, perché si trova in un posto quasi inaccessibile, all’inizio della Valle del Bove. Questo però lo faremo di sera…
La mattina andiamo sulla spiaggia di Aci Castello a vedere il luogo dove è nato l’Etna: qui c’è una scogliera di nera lava a cuscino che digrada verso il mare e sprofonda
per molte centinaia di metri. La lava a cuscino è chiamata così perché è composta da tanti blocchi rotondi e morbidi. Si forma quando l’eruzione avviene nell’acqua
e la lava che fuoriesce si raffredda subito in forme tondeggianti.
L’Etna è nato più di 500.000 anni fa dalle profondità marine, proprio qui dove stiamo noi ora, per poi spostarsi lentamente verso l’entroterra e formare quel grande massiccio che possiamo ammirare oggi. Questo posto straordinario è oggi una spiaggia libera, dove la gente viene a fare il bagno, lasciando spazzatura di ogni genere, bottiglie di plastica, carta, sigarette, lattine ecc. I meandri formati dalla lava vengono usati come cestino della spazzatura, e sono pieni di ogni schifezza! È difficile riuscire a scattare una foto senza inquadrare almeno un po’ di immondizia…
Dopo Aci Castello ci spostiamo a Catania alla sede dell’INGV, un bellissimo palazzo d’epoca nel centro della città, dove si trova la sala di monitoraggio generale di tutta la Sicilia. Da qui non solo si controlla l’Etna, che è proprio di queste parti, ma anche tutti gli altri vulcani delle isole Eolie. È un po’ la mamma di tutte le sale di monitoraggio che abbiamo visitato in questa spedizione.
I vulcani, così come le zone sismiche dove possono avvenire dei terremoti, sono tenuti sotto controllo 24 ore su 24 tutti i giorni dell’anno, comprese le feste. Oggi ci sono due persone di turno alla sala monitoraggio, che passeranno le loro otto ore di lavoro senza potersi muovere da qui. In caso di emergenza vengono avvertiti da un segnale in modo che si possa intervenire immediatamente. Alberto è molto stupito del fatto che debbano stare qui tutto questo tempo senza poter fare altro: “Non sarebbe meglio prendere più persone e fare dei turni più brevi?” chiede. In effetti i due vulcanologi di turno sarebbero molto favorevoli alla proposta, che tuttavia non è praticabile, vista la carenza di risorse in cui versa tutta la ricerca scientifica… quindi bisogna adattarsi. Ci si può comunque portare altro lavoro da fare, per esempio si può sfruttare il turno per scrivere gli articoli sulle ricerche in corso… oppure si può passare un po’ il tempo guardando qualche film, senza distrarsi troppo però!, oppure le partite di calcio quando c’è il campionato.
I monitor in giro per la sala mandano i loro messaggi continui che fotografano, secondo dopo secondo, le attività e lo stato dei vari vulcani. Sembra tutto in ordine… solo un monitor manda dei segnali strani. “Che cos’è questo grande picco qui? Il segnale va su e giù cone se fosse impazzito!” chiede Alberto. “È una grande eruzione oppure c’è qualcosa che non funziona…”
“Che occhio! Bravissimo… qui effettivamente c’è qualcosa che non funziona… a volte capita, perché le condizioni in cui lavorano gli strumenti sono molto particolari, e quindi ogni tanto vanno fuori uso. Ma vengono riparati o sostituiti in breve tempo e ci sono comunque tutti gli altri strumenti che ci continuano a mandare dei segnali regolari. Sappiamo quindi che è solo un piccolo guasto e non un’emergenza…” risponde il vulcanologo della sala monitoraggio.
Usciamo passando dal corridoio che espone una collezione di varie rocce vulcaniche, risaliamo sul pullmino, usciamo da Catania e ci spostiamo verso monte. Dopo un breve pranzo e una bella sosta all’ombra dei pini, andiamo a incontrare un gruppo di naturalisti del Wildlife Fund della Sicilia che oggi hanno un programma speciale. Ma che cosa c’entrano i naturalisti con l’Etna… L’Etna, con i suoi boschi e le sue valli verdi e ricche di acqua, ospita molti animali selvatici. In particolare molti rapaci. Ogni tanto capita che per incidenti o per la cattiveria degli uomini, gli animali vengano feriti. Da soli non riuscirebbero a guarire e morirebbero. Così i volontari del Wildlife Fund della Sicilia li raccolgono, li ospitano nei loro centri dove vengono curati e poi, quando sono guariti e di nuovo in grado di cavarsela da soli, vengono rimessi in libertà nel loro ambiente.
Poco fa dei bracconieri hanno sparato a un’aquila: una delle due o tre femmine che ancora nidificano da queste parti. L’aquila è stata trovata, purtroppo le cure non sono bastate perché le ferite erano troppo gravi ed è morta tra le braccia di chi cercava di salvarla. “È un atto molto grave ed è molto triste che ci siano delle persone che si accaniscano contro gli animali che vivono liberi nel loro ambiente” dice Paolo, il naturalista che ci accompagna nella missione.
Oggi però siamo fortunati, perché ci sono quattro rapaci da rimettere in libertà.
Sono chiusi in scatole di cartone, per proteggerli in modo che non sbattano durante il traporto e non si spaventino troppo. Ma spaventati sono lo stesso: quando apriamo con cautela la prima scatola, la più piccola, esce un esserino tutto occhi: è una civetta… I bambini, da mini vulcanologi, si trasformano subito in mini naturalisti: Maxine si mette i guanti per proteggere le mani dagli artigli e dal becco adunco, ma prima dà al piccolo uccello qualche carezza, commossa. Poi lo prende, lo porta in un luogo adatto e lo lascia libero. Inizialmente il piccolo spicca il volo in modo un po’ maldestro… ma poi si riprende e raggiunge la boscaglia. Naturalmente si merita un applauso. Ora tocca a Ciaran, che forse è più spaventato del povero uccello, un allocco, che tirato fuori dalla sua scatola non sa bene che cosa gli stia capitando… ma anche lui, ben presto, è di nuovo libero e sano e salvo nel bosco. Ad Alberto tocca un rapace un po’ più grande, un falco dallo sguardo fiero, qui i guanti sono veramente importanti… e la liberazione avviene molto rapidamente… Ecco il piccolo falco già vola in alto nel cielo azzurro, compiendo i tipici voli ad ampi cerchi.
Infine Kai e Amrit devono liberare una poiana, già abbastanza grande, e lo fanno in due. Sopra il becco ha una ferita che si è procurato nella gabbia dove era in cura… “Ma in pochi giorni di libertà non si vedrà più niente” ci assicura Paolo. Il rapace non ha molta intenzione di farsi tenere dai bambini, che tuttavia riescono a prenderlo senza fargli male e a lanciarlo verso la nuova libertà. Ecco: missione compiuta!
E ora ci aspetta l’Etna con lo spettacolo serale.
Ci incamminiamo verso le sette di sera su per un sentiero polveroso… di nuovo la polvere! Speravo che l’Etna ce la risparmiasse… Per fortuna la strada è breve: in un’oretta siamo in cima, mangiamo un panino aspettando che si faccia buio. Ma già ora si intravede la colata e si sentono i boati delle esplosioni che rimbombano per tutta la Valle del Bove che si apre maestosa sotto di noi. Un fiume di lava di cinque chilometri di ampiezza, che dalla sommità dell’Etna arriva fin quasi fino al mare.
Man mano che si fa buio, diventa sempre più visibile l’incandescenza della lava che emerge dal nuovo cratere che si è aperto il 5 maggio scorso. Il fumo riempie come nebbia parte della valle e a tratti nasconde la colata alla visuale. Fa freddo. Per stare bene ci vogliono il pile e una giacca contro il vento… Quando è proprio scuro, si vedono, più a valle, molto oltre quello che sembra il limite della colata, altri bagliori che emergono dallo scuro della pietra: “Probabilmente lì la lava ha scavato dei tunnel… scorre sotto la roccia solida e poi emerge dove noi vediamo quei bagliori” spiega Gianni. Il flusso segue un percorso tortuoso, e poi a un certo punto si biforca. Il fiume prosegue verso valle, ma alla sua sinistra, guardando verso valle, si stacca una specie di cascata che si riversa in un avvallamento laterale. “Questo è molto tipico — continua Gianni — e il fatto che il flusso si biforchi causa un rallentamento della colata principale, perché riceve meno alimentazione... non si può prevedere quanto durerà…”
Con questo spettacolo negli occhi scendiamo a valle con le torce che illuminano il sentiero. È l’ultima notte siciliana, domani ci aspetta l’aereo che ci porterà a Roma e poi a casa.
Simona Cerrato